Voto ponderato, significato della proposta di Dambisa Moyo
Il 22 luglio scorso la giornalista Luciana Grosso di Vanity Fair ha fatto un’intervista, molto discussa, a Dambisa Moyo, economista di fama internazionale nata in Zambia e naturalizzata americana. Dambisa Moyo ha lavorato per la Banca Mondiale, Goldman Sachs e ha collaborato con testate importanti.
Pochi mesi fa è stato pubblicato il suo ultimo libro “Edge of chaos – why democracy is failing to deliver economic growth and how to fix it”, libro provocatorio perchè indica una nuova, o quasi, strategia per far ripartire la crescita economica attraverso una riforma radicale della democrazia liberale.
Al centro del pensiero dell’economista e dell’intervista fattale c’è il “voto ponderato”, ossia un voto la cui rilevanza è strettamente legata al livello di informazione e di interesse verso la politica di colui o colei che lo elargisce, dell’elettore. L’economista, nel sostenere la necessità del “voto ponderato”, parte da una affermazione importante: la democrazia non riesce più a guidare in modo efficace la crescita economica perciò è rotta. Per questo motivo sarebbe importante rivedere le procedure di voto, dando al voto dell’elettore informato un peso maggiore rispetto al voto del cittadino che dimostra di non essere molto informato nè di avere interesse per la politica.
Alla domanda della giornalista sul “voto ponderato” come “voto classista” Dambisa Moyo risponde che l’idea è basata invece sul concetto di uguaglianza, non ha niente a che fare con ceto sociale, istruzione, sesso e posizioni politiche ma con il livello di passione, impegno e interesse che si ha per quello che si sta facendo. Per stabilire chi è più informato e chi non lo è si potrebbe introdurre un test periodico, come quello che si richiede a chi fa domanda di cittadinanza in Europa o in America, o penalizzare chi non vota da più tornate. Con questa riforma si avrebbero dei risultati importanti poichè ” Nessuno ha voglia di sentire che il suo voto vale meno e si avrebbe un maggiore impegno da parte di molte più persone”. La questione del peso del voto creerebbe insomma cittadini più informati e consapevoli.
Al “voto ponderato” si aggiungerebbero altre due ricette: votare meno spesso e rivedere il sistema di assegnazione dei compensi ai politici. La prima indicazione è legata a quella che l’economista chiama “miopia dei politici”, ossia la tendenza dei politici ad impegnarsi maggiormente durante la fase elettorale, per essere rieletti, piuttosto che in progetti politici lungimiranti. Sarebbero quindi prigionieri di una campagna elettorale permanente e questo rischierebbe di compromettere l’efficacia delle politiche.
Infine, per quel che riguarda i compensi, l’idea sarebbe quella di trasformare la politica in una sorta di azienda, in cui ogni lavoratore (il politico, in questo caso) ottenga un certo corrispettivo in base ai risultati economici conseguiti nel lungo periodo.
L’idea del “voto ponderato” è sicuramente quella che ha scatenato più polemiche poichè metterebbe in discussione il famoso suffragio universale, su cui noi europei abbiamo lavorato fin dal 1800, abbandonando gradualmente il suffragio ristretto. Se è vero che l’idea dell’economista non è escludere dal voto certe categorie sociali, dare un peso diverso ad ogni voto equivarrebbe a privarlo di uno dei suoi caratteri principali, l’eguaglianza. Non è da escludere poi che il voto ponderato possa compromettere altri due caratteri importanti, la libertà e la segretezza. Ovvero, il cittadino che periodicamente viene sottoposto a un test al fine di “testare” il livello di informazione e di interesse politico darebbe ugualmente un voto libero? E i suddetti test, per forza di cose non anonimi, da chi verrebbero esaminati? Se ci fosse qualcuno o qualcosa a conoscenza del coinvolgimento in politica di ogni singolo cittadino in età di voto, il voto sarebbe ugualmente segreto?