Vacilla l’Intesa tra Di Maio e Salvini. L’Italia ancora senza Governo.
Se ieri raccontavamo di un accordo trovato tra Lega e Movimento 5 Stelle per la formazione del cosiddetto “Governo del Cambiamento”, con i due leader, Di Maio e Salvini pronti a scrivere la storia di questo tormentato Paese, oggi ci corre l’obbligo di dover registrare l’ennesimo passo indietro: insomma, come nel gioco dell’oca, si ritorna alla casella di partenza.
Il leader dei 5S quando esce dalla sala delle vetrate ha un’ espressione tesa. Nemmeno le parole che pronuncia sono rassicuranti: qualche giorno in più per stilare un contratto vincolante per 5 anni e per consultare la base. Ma non smette di gonfiare il petto, orgoglioso per il lavoro fin qui svolto.
E il tanto atteso e sbandierato accordo sul nome del premier? Il leader dei 5S lo sdrammatizza: «Io e Salvini abbiamo deciso di non fare nomi».
Matteo Salvini, uscendo dal colloquio con Mattarella, ha lanciato un monito a Luigi Di Maio, nemmeno tanto velato, ed è anche un segnale bellicoso rivolto allo stesso presidente Mattarella: «Su qualche punto importante ci sono visioni diverse: o c’è un accordo omogeneo oppure gli accordi un tanto al chilo non fanno per me».
Mai come ieri i due, Di Maio e Salvini, sono apparsi distanti. Tant’è che hanno chiesto al Capo dello Stato un ulteriore supplemento di tempo.
Certamente il governo non nascerà questa settimana, visto che ieri la Lega ha annunciato per il prossimo week end una consultazione aperta sul possibile contratto di governo a cui ha chiamato a partecipare anche non militanti. Anche Di Maio, al termine delle consultazioni, ha voluto ricordare che il contratto andrà sottoposto al voto online degli iscritti sulla piattaforma Rousseau.
I due leader dimenticano, però, che l’Italia è una Repubblica Parlamentare ed è il Parlamento che vota la fiducia ad un esecutivo che si presenta innanzi ad esso insieme con i suoi programmi. Dimenticano, inoltre, che il Quirinale non è la Casaleggio associati, nè Palazzo Grazioli, ma è il luogo preposto a raccogliere i programmi ed i nomi per dar vita ad un nuovo governo.
Nello studio di Mattarella, dietro quella porta, è stato probabilmente proprio il Presidente della Repubblica a bocciare il progetto sin qui partorito dai tavoli di Roma e di Milano. Probabilmente l’ipotesi di un contratto che preveda una dichiarazione di sganciamento imminente dai vincoli europei, o i dubbi sollevati circa la copertura economica per sostenere la Flat tax, o ancora la crociata anti-immigranti sostenuta dal leader del Carroccio con la sua candidatura al Ministero degli Interni, non sono piaciuti al Presidente che ha cosi congedato due novelli scrittori di storie patrie, invitandoli probabilmente a studiare di più, tenendo maggiormente in considerazione gli interessi della Nazione alla luce anche dei prossimi appuntamenti internazionali e concedendo loro più tempo per concludere “il contratto di governo”.
Il Capo dello Stato, non vuole che si possa in alcun modo addossare al lui la responsabilità di un eventuale fallimento ed il ritorno alle urne, perciò ha concesso il tempo richiesto per non impedire la nascita di un esecutivo politico. “Attenderò alcuni giorni – ha annunciato in conclusione Mattarella – trascorsi i quali valuterò in che modo procedere per uscire dallo stallo che si registra. Sarebbe la prima volta nella storia della Repubblica che una legislatura si conclude senza neppure essere avviata e che il voto popolare non viene utilizzato e non produce alcun effetto”,
Intanto ieri, sono stati mandati allo sbaraglio altri due nomi per la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri: l’economista di area Carroccio Giulio Sapelli e il giurista vicino ai 5S Giuseppe Conte. Anche in questo caso, secondo i rumors provenienti dal Quirinale, il Capo dello Stato avrebbe fatto intendere che nessuno dei due, nonostante i meriti, corrisponde all’«alto profilo istituzionale» necessario in questo caso.
Ora, si profilano di nuovo le ipotesi di un governo “politico”: un nome scelto tra le seconde file o tra i più stretti collaboratori dei leader. Anche perché chiunque sarà il premier si troverà a indossare i panni dell’«esecutore» (espressione usata ieri da Di Maio) ovvero di attuatore di un contratto di governo scritto da altri e ratificato dagli iscritti dei due partiti. Il leader pentastellato, preso da un eccesso di democrazia diretta, dimentica o non sa che la nostra Costituzione, articoli 92, 93, 95 e 96, conferisce al Presidente del Consiglio dei Ministri, lo status di organo costituzionale e un’autonoma rilevanza. È il centro nevralgico dell’intera attività del governo, perché “concorre alla definizione dell’indirizzo politico amministrativo dello Stato, dirige la politica generale e ne è il responsabile, promuove e coordina l’attività dei ministri”. Più che esecutore, dunque, una guida e non solo di facciata. Ma forse Di Maio è abituato a un partito in cui le decisione non le prende il leader candidato premier.