USS Indianapolis: Trailer e Recensione del Film
Quando nel 1975 Spielberg diresse “Lo Squalo” stabilì tre macro concetti che, ancora oggi, dopo più di 40 anni, continuano a perdurare. Essi sono: la creazione del blockbuster, la creazione del film “estivo” sia per l’immaginario collettivo sia a livello di distribuzione e la creazione del filone shark-movie.
Negli anni, infatti, si sono susseguiti film con protagonisti questi terribili predatori acquatici, alcune pellicole erano anche ben riuscite, altre decisamente no. Alcune erano di chiaro stampo horror, altre animalista, altre ancora trattano il trash meglio che possono e via di questo passo… La citazione di Spielberg non è un caso. È proprio nel suo film che si fa riferimento alla storia della nave USS Indianapolis, la cui missione era consegnare una delle due bombe atomiche, sganciate poi sul Giappone. Sfortunatamente un sottomarino nipponico fece affondare la nave lasciando per diversi giorni i superstiti in balia degli squali.
Mario Van Peebles (tra l’altro attore ne “Lo Squalo 4 – La vendetta”) viene chiamato in cabina di regia per girare questo “prequel” spirituale di Jaws ma basato su una storia vera. L’obiettivo è mostrare il vero volto della guerra: chi si è arricchito con il conflitto, chi soffre per il conflitto ma, soprattutto, chi combatte nel conflitto, sia esso statunitense o giapponese. Un obiettivo alquanto lodevole, chiaro segno che il regista ha intenzione di cimentarsi in un cinema più maturo e, per certi versi, anche onorevole. Tutto, almeno nella teoria, sembra funzionare se non fosse che questo film pare proprio sia stato egli stesso mangiucchiato da uno squalo per poi essere malamente risputato.
USS Indianapolis si basa su una sceneggiatura, scritta a quattro mani dalla coppia Cannon-Del Castro, scarna e che non riesce mai a mettere ben in evidenza i temi che si vogliono trattare. Un film corale che vorrebbe mostrare la guerra da molti punti di vista diversi ma ogni categoria, così come i personaggi al loro interno, è trattata con estrema superficialità impedendo a chiunque di loro di far sentire la propria voce e, di conseguenza, impedendo a noi spettatori di immedesimarci nelle vicende e di provare qualsivoglia empatia nei confronti dei protagonisti che si ritrovano relegati o solo a semplice comprimari anonimi o totalmente imbottiti dei vari cliché sui marinai (gente che fa a botte nei locali notturni, dichiarazioni di matrimonio, ecc.). La medesima cosa accade ai nemici giapponesi, macchiette il cui ruolo è semplicemente quello del “cattivissimo” che ha bisogno di essere cattivo giusto per far trasparire tutta la bontà degli Usa.
Tutti problemi notevolmente visibili già nella prima parte del film, quella che, di norma, serve proprio a introdurre temi e personaggi e che, di conseguenza, comprometteranno tutto il film. La seconda parte, basata su l’affondamento e la successiva sopravvivenza in mare dei superstiti, subisce dei cali di ritmo (e di attenzione dello spettatore) vertiginosi dove il punto più basso viene raggiunto dal fatto che, impossibilitati a mostrare il dramma umano, si punta agli jump scare con lo squalo che esce per metà dall’acqua ed attacca gli uomini sulla scialuppa.
Nel finale si tenta nuovamente di dare maggior risalto all’uomo più che al soldato ma la pellicola non riesce ad essere incisiva nemmeno in quel frangente perché, fino a quel momento, è stata sostenuta in modo molto fragile. In particolare mi riferisco al personaggio del Capitano McVay (Nicolas Cage) che rimane quasi anonimo per tutta la pellicola per poi tirare fuori la testa dalla sabbia soltanto nell’ultima parte senza però possedere la forza e l’energia indispensabili in quel dato momento proprio perchè, come già accennato, si tratta di un film dalla struttura debole.
Van Peebles fa del suo peggio per affossare una sceneggiatura già non troppo perfetta. In film come “New Jack City” fu bravissimo a dipingere la polizia e la criminalità nera del ghetto, qui risente forse del grosso lavoro che lo aspetta, proponendoci una regia senza troppa creatività e puntando solo sul piccolo lavoro da artigiano che si limita a seguire le regole senza uscire dalle righe. Quando si parla di un film di guerra che vuole mettere gli uomini al centro della vicenda è richiesta una regia capace di far trasparire ogni emozione, purtroppo in USS Indianapolis accade raramente che il regista si concentri sui particolari, in special modo sui volti dei sopravvissuti, di modo da mostrare tutto l’orrore che stanno provando. Persino l’affondamento della nave risulta essere davvero poco incisivo e poco emozionante. Ad affondare ancora di più il film ci pensa un montaggio che troppo spesso fa perdere il ritmo e, cosa ancora più grave, con dei seri problemi sui raccordi. Chiude il cerchio una CGI vecchia di almeno vent’anni.