La transessualità non è più classificata come malattia mentale
Nel mese dell’orgoglio LGBT+ ( Pride Month ) l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, da un motivo in più per festeggiare e toglie la transessualità dalla lista delle malattie mentali.
L’ultima stesura della Classificazione Internazionale delle Malattie si arricchisce di nuovi capitoli, tra cui quello delle ‘Condizioni di Salute Sessuale‘ in cui è stata spostata la voce ‘transessualità‘, dopo averla cancellata dalla lista dei disturbi psichiatrici. In merito l’OMS ha dichiarato: “Le prove sono ora chiare sul fatto che non si tratta di un disturbo mentale e la sua classificazione come tale può causare uno stigma enorme per le persone transgender“.
Il termine ‘transessuale’ fu coniato nella prima volta 1949 dal dottor David Cauldwell, ma è diventato di uso comune soltanto in seguito alla pubblicazione del libro ‘Il fenomeno transessuale’ ( The transsexual phenomenon ) da parte di Harry Benjamin ( sessuologo ed endocrinologo ). Negli anni precedenti alla coniazione e all’avvio degli studi sulla transessualità, essa era considerata una malattia da cui si poteva guarire con un percorso di psicoterapia e tramite un accanimento “terapeutico”: alle persone che presentavano situazioni di disforia ( un alterazione dell’umore in senso depressivo ) nei confronti del proprio sesso, venivano somministrati, in maniera ripetuta, ormoni del proprio sesso genetico. Solo in seguito a numerosi casi di tentativi di suicidio, registrati dopo questi accanimenti “terapeutici”, si cominciò a studiare la transessualità.
Fu il sessuolo ed endocrinologo Harry Benjamin ad ipotizzare per primo che la persona transessuale dovesse ricevere un supporto psicologico e psichiatrico per affrontare correttamente le terapie endocrinologiche e chirurgiche e concludere in sicurezza il percorso di transizione di genere.
La nuova Classificazione Internazionale delle Malattie, che sarà effettiva dal gennaio 2022, oltre a sdoganare l’idea pregressa sugli individui transgender e ad aumentare l’accettazione sociale degli stessi, mira anche a fornire quanto più supporto possibile a chi decide di intraprendere un percorso di transizione garantendo loro l’accesso agli adeguati trattamenti sanitari.