Il Coraggio della Verità: Recensione del Film su razzismo e omertà
Spesso si crede che l’intolleranza ed il razzismo non siano un vero problema in una nazione multietnica come gli Stati Uniti, eppure tristi casi di cronaca non fanno altro che provare il contrario. Ispirandosi proprio ad un fatto realmente accaduto, George Tillman Jr. propone al pubblico il suo “The Hate U Give” (Il Coraggio della Verità) ambientandolo ai margini delle grandi città urbane in un contesto di perenne tensione sociale.
Starr Carter è la figlia adolescente di un membro dei Black Panther ed ex spacciatore di droga per gang locali. Suo padre Maverick (Russell Hornsby) iscrive lei ed i suoi fratelli ad una prestigiosa scuola privata frequentata esclusivamente da bianchi per farla studiare in modo da scappare – presto o tardi – da quel mondo di periferia.
Starr, in un intro da teenage movie, si racconta in prima persona, illustrando la storia di suo padre, di sua madre, dei suoi fratelli e della trasformazione che deve ripetere ogni giorno per essere accettata nella scuola che frequenta. Al college si definisce Starr 2.0, sforzandosi di non “parlare come i neri”, in quanto è ritenuto ghettizzante, di non sentire musica ritenuta “inferiore”.
Nonostante tutto è fidanzata con un giovane e ricco ragazzo bianco, Chris (K.J Apa) ed ha amiche dell’alta società. Non tutti si riveleranno essere tolleranti come sembra davanti alle difficoltà che non tardano ad arrivare.
Un suo amico di infanzia, Khalil, è sparato senza motivo ad un controllo di polizia davanti agli occhi della giovane Starr. Spinta da membri del movimento Black Lives Matters e dal padre impegnato in lotte civili, si espone ai media e alla giustizia rompendo un pesante velo di omertà.
The Hate U Give: il razzismo e l’odio nel 2018
Il titolo, a suo modo emblematico, forma l’acronimo THUG. Secondo il Cambridge Dictionary il suo significato è un modo di vivere la vita in maniera violenta e criminale. Il significato che danno i protagonisti del film, che vivono in quella realtà, è “l’odio che voi date”. Alla base della violenza c’è l’odio subito dai bambini, che riversano in società le loro frustrazioni.
Il tono leggero della prima mezz’ora di film non lascia presagire ciò che avviene dopo la morte del ragazzo innocente. Il quartiere in cui Starr ha sempre vissuto diventa ostile, violento e isolante: nonostante tutti protestino per l’ingiustizia subita, nessuno si schiera apertamente verso la testimone del crimine per paura di intaccare il dominio della gang dominante.
Questa è, magari, anche la risposta alla domanda che è sottesa al film. “Perche non cambia nulla? Perchè si è ghettizzati?”, si chiedono le vittime (ma spesso anche i carnefici) di un gioco perverso che spezza vite di adulti e di innocenti. Le persone di colore oneste e orgogliose delle proprie origini sono schiacciate da una giustizia che tutela la maggioranza bianca e dall’oppressione mafiosa dei propri concittadini.
Nel gioco di potere, che schiaccia i più oppressi, si tratta un tema difficile e controverso. A cosa possono spingersi le forze dell’ordine? Dov’è il torto e dov’è la ragione in un controllo finito male? Il senso del film è in maggior parte esplicitato nel dialogo di Starr con suo zio poliziotto, il quale non riesce a condannare fermamente la violenza in quanto si immedesima nel suo collega bianco che ha avuto paura.
“Viviamo in una società troppo complessa”
ha risposto alla nipote che – incalzante – cercava di fargli ammettere un atteggiamento razzista e classista tra i colleghi. La soluzione, vera, è scoperchiare il vaso di Pandora, iniziando prima di tutto tra i “sudditi” dello strapotere delle gang della droga, i veri a desiderare il male della propria comunità.
The Hate U Give: un film insolito che soddisfa (quasi) tutte le aspettative
Ciò che conta, nella realizzazione di un film del genere, è sapere ben equilibrare il minutaggio e gestire al meglio tutte le finestre aperte sulla società. Nonostante la regia non spicchi per particolari vezzi o tecnicismi, eccetto per la netta (e prevedibile) divisione degli ambienti alti rispetto a quelli bassi tramite la fotografia, il minutaggio alto (più di 130 minuti) è ottimamente gestito.
È impossibile non rimanere colpiti da molte scene forti del film in cui l’impegno civile si unisce alla psiche di una ragazzina costretta ad affrontare da sola, e senza armi, il mondo. Ciò che si può opinare ad un film così profondo e realistico è l’epilogo, perchè – in questi casi – il “vissero felici e contenti” non esiste mai, se non in una tomba.