La legge li chiama “testimoni di giustizia”, ma sono semplici cittadini che, per aver dato uno specifico apporto alle indagini della magistratura, rischiano di essere perseguitati da gruppi criminali.
9 marzo 2017: la proposta di Legge alla Camera dei Deputati
Lo scorso 9 marzo la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati ha approvato il testo di una proposta di legge per riformare il sistema di tutela dedicato a queste persone. Un passo questo, atteso da tempo dai testimoni e dalle loro famiglie: la disciplina approntata nell’ormai lontano 1991 per mettere al sicuro loro e le loro famiglie, alla prova dei fatti si è rivelata farraginosa e insufficiente. A cominciare dal piano formale: ai testimoni vengono infatti estese le norme pensate per i collaboratori di giustizia, che possono fornire informazioni dettagliate e utili alle indagini in quanto appartenenti ai gruppi criminali, ricevendo in cambio dei benefici. Con il risultato di creare confusione tra due figure tra loro molto differenti.
Non va meglio sul piano pratico: le “speciali misure di protezione” volte a consentire al protetto la permanenza nella sua località d’origine, che in linea teorica avrebbero dovuto costituire il sistema di tutela più utilizzato, non sono in realtà mai state specificate. Non è prevista, ad esempio, alcuna forma di sostentamento economico, né di sostegno per le imprese gestite dai testimoni, quando spesso, laddove il potere mafioso è più forte, denunciare significa perdere commesse, la clientela o i rapporti di fornitura per la propria attività.
Quanto al programma speciale di protezione, i benefici del trasferimento e del cambio di identità sono vanificati dall’assenza di un sistema che affronti le conseguenze del trasferimento: senza un progetto di reinserimento lavorativo e sociale che consenta loro di uscire dall’isolamento nella località protetta, relegati in situazioni spesso degradate, in un programma che potrebbe durare parecchi anni, ma che non assicura a loro, né alle proprie famiglie, il tenore di vita precedente, i testimoni di giustizia sono, di fatto, abbandonati a se stessi. É la storia tristemente nota di Lea Garofalo: testimone di giustizia e inserita nel programma di protezione, finì per rinunciarvi, a causa della difficoltà che la vita “protetta” causava a lei e alla figlia. Oggi, queste difficoltà riguardano 80 testimoni e 255 loro familiari; ma potenzialmente riguardano tutti i cittadini onesti.
La proposta di legge: testimoni più protetti e consapevoli
Il testo licenziato dalla Commissione Giustizia della Camera sembra rivoltare come un guanto il sistema: azzera la distinzione tra le speciali misure di protezione adottate nella località di origine e quelle adottate col trasferimento in località protetta; inoltre, prevede specifiche misure di tutela e sostegno economico per il protetto che resti nella località di origine e un programma di reinserimento socio-lavorativo teso, ove possibile, a ricostruire la figura professionale della persona o assegnarle quantomeno un lavoro equiparabile.
Lo Stato si prende un impegno ambizioso: proteggere i testimoni nel loro luogo d’origine, salvo quando proprio non sia possibile; e farlo valutando di volta in volta quali misure attivare, e attenuandole poi via via con lo scemare del pericolo. C’è spazio anche per garantire al cittadino sotto protezione un ruolo attivo e consapevole: proprio per questo, il testimone potrà avvalersi di un Referente d hoc, in grado di assisterlo nei rapporti con le istituzioni e nelle vicende personali e patrimoniali legate al suo particolare status. Un’altra novità: la nuova definizione del testimone – che deve essere intrinsecamente attendibile ed estraneo ai reati che denuncia, rendere dichiarazioni rilevanti per le indagini o il giudizio, non essere sottoposto a misura di prevenzione e trovarsi in pericolo – accoglie anche i dichiaranti sinora definiti “borderline”: come gli imprenditori che hanno instaurato un rapporto d’affari ambiguo con l’associazione mafiosa che li taglieggia, ad esempio per avere protezione; e come i testimoni legati a vincoli di parentela con soggetti mafiosi, e a lungo beneficiari di quei rapporti.
L’Appello: il Parlamento approvi le leggi antimafia entro la legislatura
La nuova legge, insomma, potrebbe finalmente garantire sicurezza e dignità ai cittadini che per lo Stato si sono spesi e accanto altri importanti provvedimenti, potrebbe davvero fare la differenza. Il 16 gennaio scorso, proprio per questo, le associazioni Avviso Pubblico, Libera contro le mafie e Legambiente e i sindacati Cgil, Cisl e Uil hanno lanciato un appello alle Camere e al Governo, perché si impegnino per approvare in tempi brevi questa ed altri cinque provvedimenti: per l’istituzione della Giornata della Memoria e dell’Impegno per le vittime di mafia (ad oggi l’unica proposta già divenuta legge), per riformare la prescrizione e la disciplina anticorruzione, per modificare le norme in materia di beni confiscati, per tutelare gli amministratori minacciati, per introdurre norme di contrasto alla criminalità organizzata nel gioco d’azzardo. Approvarle tutte significherebbe aggredire le mafie sotto tutti i fronti: economico, sociale, giudiziario. Eppure, questi progetti di legge giacciono in Parlamento da tempo e la fine della legislatura rischia di compromettere tutto il lavoro sinora svolto. Il mese di marzo, che ha visto diventare legge la proposta per rendere il 21 marzo giornata ufficiale del ricordo e una svolta sui temi della tutela dei testimoni e della riforma della prescrizione, lascia ben sperare.
Pierpaolo Romani: “ora dare tutela anche agli amministratori minacciati”
“E’ un segnale molto importante di come sia indispensabile partire dal basso, per segnalare alle istituzioni che delle decisioni vanno prese” commenta il Coordinatore nazionale di Avviso Pubblico, Pierpaolo Romani. L’appello è nato dall’Osservatorio dell’associazione che unisce Enti locali e Regioni contro mafie e corruzione, redatto proprio perché tutti possano seguire iter e contenuto delle leggi utili al contrasto della criminalità organizzata. “A gran voce, ora, chiediamo che vengano approvati gli altri provvedimenti, a cominciare da quello per proteggere gli amministratori minacciati”.
Dal 2010, Avviso Pubblico segue e documenta le vicende di amministratori oggetto di intimidazioni mafiose e non. E il numero di “amministratori sotto tiro”, spiega ancora Romani, è paurosamente in crescita. “L’anno scorso sono stati 479, il doppio rispetto al 2015, e aumentano i casi nel centro e nord Italia. Non solo, sono in aumento di minacce motivate dalla ‘rabbia sociale’ dei cittadini, che si riversa sui sindaci, rappresentanti più vicini della classe politica e pertanto additati come membri di una casta. Mentre tanti di loro cercano semplicemente di fare il loro dovere in modo trasparente e onesto”.
La proposta in cantiere consentirebbe di inasprire le pene per i reati commessi ai danni di un ‘corpo politico, amministrativo o giudiziario’ e introdurrebbe l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche anche per questi reati. “L’anno scorso abbiamo spinto la creazione di una commissione d’inchiesta in Senato sul tema; ora la proposta è all’esame della Commissione Giustizia alla Camera, e speriamo che lo licenzi presto, magari in sede deliberante”. Perché chi minaccia un amministratore fa violenza su un’intera comunità.