Tangentopoli, 25 anni fa l’inizio: Storia di Mani Pulite
La fine della Prima Repubblica arrivò esattamente 25 anni fa, in un crescendo rovinoso che avrebbe portato a migliaia di avvisi di garanzia, di arresti e di politici coinvolti. Vi raccontiamo la storia di Mani Pulite.
Era il 17 febbraio 1992, quando Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio milanese, veniva sorpreso nell’atto di intascare una tangente da 7 milioni di lire, pagatagli da un fornitore della struttura. L’indagine era condotta da un sostituto procuratore che, insieme con i colleghi Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo, avrebbe dato corpo al cuore del “Pool Mani Pulite“: Antonio Di Pietro.
Stava cominciando a definirsi una rete di affari illeciti, talmente fitta ed estesa da contenere al proprio interno innumerevoli altre realtà, trasversali nel loro ipertrofico sviluppo di complicità e corruzione. E che appunto cominciarono ad essere scoperchiate in quel lontano pomeriggio meneghino, quando la mazzetta al “mariuolo” Chiesa era in realtà solo una delle tante e certo non la prima. Proprio per la vastità del sistema sotteso, che compromise fino a sfaldarlo il Pentapartito di Craxi (PSI), La Malfa (PRI), Altissimo (PLI), Cariglia (PSDI) e Forlani (DC). Diretto al centro della politica e oltre, ben oltre.
“Buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. I partiti – specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli -, giornali, attività propagandistiche, promozionali ed associative e con essi molte e varie strutture politiche operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare o illegale“. Le parole di Bettino Craxi alla Camera, nel luglio 1992, hanno ancora oggi un impatto traumatico su chi le ascolta. Furono un’ammissione di colpe e di correità, nei confronti proprio dell’assemblea legislativa che lo stava ascoltando: “ Non credo che ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro”. Limitare la pratica tangentizia come attività diffusa solo entro quell’aula, sarebbe una contestualizzazione oltremodo superficiale. Si pensi infatti a tutto quello che a mano a mano, inesorabilmente emergeva, al connubio strettissimo tra politica, imprenditoria e grande industria radicato ovunque nel paese.
Metropolitane, aeroporti, edifici, autostrade e poi ancora gruppi pubblici come Iri, Enel, Eni, Ferrovie dello Stato e privati come Olivetti e Fininvest. Questo solo per abbozzare un principio di elenco, facendone così intuire la portata. Alle vicende di Tangentopoli si accompagnò presto l’ira dei cittadini, che attesero Craxi fuori dal suo albergo per lanciargli le monetine, che scesero in piazza contro il Decreto Conso per depenalizzare il finanziamento illecito ai partiti, e che proprio contro il finanziamento pubblico votarono in massa nel 1993. La drammatizzazione di quegli anni era amplificata dall’attenzione mediatica, che per molti fu pari ad una condanna senza appello. E difatti ci fu chi come Raul Gardini, Sergio Moroni e Gabriele Cagliari non sopportò il peso di quella pressione, e si tolse la vita.
Ma le indagini continuavano ed i vecchi partiti erano prossimi alla dissoluzione, o meglio alla trasformazione. Dopo quei famigerati anni 90, niente più PCI, oramai PDS; niente più DC, scissa tra la riesumata dicitura di Partito Popolare Italiano e quella di Centro Cristiano Democratico; briciole di consenso per i socialisti, ridotti al 2% alle politiche del 1994; disciolti in altre formazioni gli altri. E intanto stava cominciando un nuovo corso, con l’avanzata di un homo novus che per 16 milioni di cittadini incarnava il rinnovamento tanto atteso: aveva inizio l’era berlusconiana.