Sulla mia pelle: Recensione del film con Alessandro Borghi.
Sulla mia pelle è il titolo del film di Alessio Cremonini, che racconta la tragica storia di Stefano Cucchi, il giovane romano arrestato per spaccio e detenzione di stupefacenti e morto in carcere in circostanze non ancora del tutto verificate nell’ottobre del 2009. Ed è sulla mia pelle che ho ancora i brividi per questo film che mi ha restituito ogni calcio e ogni pugno in testa, ogni singola violenza costata la vita a Stefano. Devastante. Un film brutale, che fa rabbia, che colpisce con violenza,che fa indignare ed è giusto così. Perché la storia di Stefano non può essere raccontata con mezze misure. A tratti,mi è sembrato di stare in un documentario e non in un film, perché Borghi è riuscito a farmi essere Stefano, insieme a Stefano e insieme a lui per un po’. Muri spogli di una cella. Muro bianco, un letto e Alessandro Borghi. Anche lui tatua Stefano sulla sua pelle per diventare, a poco a poco, come lui . Un dimagrimento forzato, la voce molto simile e Borghi che si spegne a mano a mano, con silenzi e frasi quasi incomprensibili di un corpo che si stava lasciando cadere per il dolore . Un trent’enne perso in un sistema giudiziario attraversato da una vena incomprensibile di violenza sorda e cieca. Sordi e ciechi. Silenzio. Solitudine. Rabbia. Non voglio parlare della storia di Stefano, dando giudizi o inutili sentenze,non voglio farlo come non lo ha fatto Cremonini.Nel film, infatti non c’è denuncia, non si difende Stefano nella sua posizione di colpevole nei confronti della legge. Cucchi non viene santificato. Voglio parlare della cosa che , per me, colpisce di più di questo film.
L’arrivo silenzioso e rassegnato della morte. Questo spegnersi lentamente, questo corpo rannicchiato su un lettino pieno di lividi e “lasciatemi dormire”: Stefano /Borghi, non protesta, non urla, non scalpita. Sente pian piano le forze abbandonarlo, il corpo cedere, sente pian piano la vita andar via e non protesta. È questo che il film mette in scena, l’avvicinarsi rassegnato della morte per un ragazzo di trent’anni e tutto il resto, forse, passa in secondo piano. Le polemiche sulla vita di Stefano e sulla attendibilità e la veridicità delle scene, importanti si. Ma non dimentichiamo il mistero tra la vita e la morte che viviamo per tutto il film e la toccante interpretazione di Borghi , il cui corpo è per tutto il tempo il nostro corpo, il corpo di Stefano e di tutte le persone morte in carcere, luogo di sicurezza e giustizia. Anche la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, è stata intervistata per esprimere le sue impressioni dopo aver visto il film. « La vicenda insegna che quello che è capitato a Stefano ha direttamente a che fare con il mancato rispetto dei diritti fondamentali di ogni essere umano. E che pertanto riguarda ciascuno di noi. Perché anche se al signor Mario Rossi non capiterà mai di essere coinvolto in una vicenda simile, ognuno, nel suo piccolo, deve farsene carico se vogliamo darci una speranza di una società migliore», dice. E ancora «Il film è da vedere perché riesce a restituire dignità e umanità a Stefano. Il cinema, come anche le canzoni, sono uno strumento potentissimo per raggiungere la gente. Alessandro Borghi interpreta mio fratello in un modo sconvolgente e trasmette persino a me, che sono sua sorella, esattamente ciò che lui era. Questo film fa capire che non si può tollerare che cose del genere accadano, che non si può smettere di indignarsi di fronte a tragedie come quelle che sono capitate a noi».Molti citano De Andrè e la sua canzone “ Il Blasfemo”, e mentre risuonano i versi della sua canzone
“ non mi uccise la morte,ma due guardie bigotte, mi cercarono l’anima a forza di botte”,
resta una consapevolezza che fa gelare il sangue : Stefano Cucchi poteva essere chiunque di noi.