Ristorante cinese a Napoli “Ru – Ji” cambia gestione
Nell’era del fast food e dell’usa e getta, delle instastories che si consumano in 24 ore, dei pasti consumati col cellulare in mano mentre si risponde all’ennesimo whatsapp o si scrolla la homepage del nostro social network del cuore, raramente ci è concesso il privilegio di sederci intorno ad una tavola con i nostri amici per deliziare le nostre papille gustative e rianimare le nostre vite intrise di quotidianità.
Sono le 21,30 circa, mossi da una fame “orientale” decidiamo di provare finalmente la nuova gestione del nostro “Ru -Ji” – che ci ha visti già numerose volte ospiti – diventato “Viktor”, e implementato anche della cucina giapponese. L’accoglienza è stata subito gradevole, Francesca e Sara (nomi italianizzati delle nuove titolari), ci hanno condotto al nostro tavolo e fatti accomodare in questo clima che ci ha subito piombati in una Shangai di fine anni ’30. I tavoli in realtà sono acquari, e un monito per gli ospiti cattura da subito la nostra attenzione “non dare residui di cibo ai pesci”, il solito luogo comune degli italiani scostumati, o lo siamo davvero?
Ma senza stare a farci tante domande iniziamo a spulciare i menù, cinese o giapponese sarebbe la prima questione, e si sa che l’uomo non è in grado di scegliere per cui optiamo per entrambe le soluzioni. Tradizionalmente la cucina cinese prepara non solo delle pietanze da mangiare, ma delle piccole opere d’arte che devono colpire la vista e l’ olfatto ancora prima del gusto. Le sue tre varianti fondamentali sono colore, aroma e sapore. Ci aspettiamo così pietanze belle, prima ancora che gustose. Centosette portate di giapponese e un altro centinaio di cinese da menù, una scelta ardua, così chiediamo a Sara di scegliere per noi. Ma che serata orientale sarebbe senza il classico? Iniziare dalla tradizione per assaporare al meglio il gusto delle novità. Sfoglie di gamberi, ravioli alla griglia e al vapore ed involtini primavera per istigare il nostro appetito. Ed è subito voglia di bis. Pausa giapponese con Sushigio di salmone, Finger salmon e tartare ed Ebi – Ten (gamberi fritti), il tutto introdotto dalla lezione sulla qualità degli ingredienti della nostra guida culinaria. Ritorniamo in Cina con spaghetti alla piastra e riso alla cantonese, pollo alle mandorle e nido di rondine con gamberi.
Un locale pieno di clienti, un via vai di porzioni fumanti dalla cucina alla sala, eppure nessuna confusione, questo può sembrare ossimorico rispetto a quello che tradizionalmente accade in Cina in cui i cinesi quando sono in compagnia non si controllano e i luoghi pubblici sono posti in cui si fa festa e baldoria, i ristoranti quindi non fanno eccezione. Ma si sa: Paese che vai, usanza che trovi, e questo adattamento alle nostre abitudini di culto silenzioso del cibo lo abbiamo apprezzato. Il tempo fra le portate era giusto, nessuna fretta di servirti la pietanza successiva né troppa attesa a creare nervosismo fra i commensali, il giusto equilibrio fra la chiacchierata e il raffreddarsi della pietanza.
Ma mica possiamo andar via senza assecondare la voglia di dolce finale? Gelato fritto, classico dei classici e coniglietti alla vaniglia, la versione orientale dei nostri mushmellow.
La conclusione finale la affido al bigliettino che abbiamo trovato nel nostro biscottino della salute “I desideri vanno rivelati ad alta voce”, e a stomaco pieno, aggiungerei.