Referendum Alitalia, vince il no: cosa succede adesso?
I lavoratori di Alitalia hanno detto no al nuovo piano industriale che era stato siglato da sindacati e azienda lo scorso 14 aprile e sottoposto al referendum lunedì 24 aprile. L’esito è stato netto: su un totale di 10.101 votanti, i No hanno raggiungo il 67% (6.816 voti), mentre i Sì si sono fermati al 33% con 3.206 voti.
Referendum Alitalia: i dipendenti votano no
I lavoratori hanno deciso di seguire la sigla sindacale Usb e di schierarsi per il “no”. La motivazione: non si possono scaricare per l’ennesima volta sui lavoratori le difficoltà finanziarie della compagnia di bandiera italiana. Ecco i contenuti principali del verbale d’intesa firmato lo scorso 14 aprile e bocciato dai lavoratori durante il referendum:
- 980 esuberi totali (la richiesta iniziale dell’azienda era di 1.338 esuberi);
- riduzione della retribuzione lorda del personale pari all’8% (la richiesta iniziale era del 24-30%);
- sforbiciate di diverse voci in busta paga quali riposi e dimensioni degli equipaggi in volo.
Alitalia: cosa succede adesso?
La risposta negativa dei lavoratori alle offerte degli azionisti di Alitalia apre uno scenario tutto nuovo. Il Consiglio di amministrazione potrebbe richiedere un’amministrazione straordinaria speciale (circolano già i nomi di Enrico Laghi o Luigi Gubitosi) che avrebbe il compito di procedere verso una liquidazione preceduta da una vendita degli asset migliori della compagnia (aerei di proprietà, immobili, bande orarie di decollo e atterraggio). Se si dovesse andare verso il commissariamento, sarà il ministero dello Sviluppo Economico a procedere con la nomina di uno o più commissari, il cui compito principale sarà quello di pensare ad un nuovo piano industriale (trovando magari nuovi acquirenti), oppure dichiarare il fallimento.
Alitalia e il problema della liquidità
Il primo problema da affrontare per Alitalia è la liquidità. Servono subito 950 milioni di euro, che sarebbero entrati come conseguenza del piano di risanamento. La bocciatura del referendum ha fatto saltare il banco. E, secondo alcuni analisti finanziari, Alitalia rischia di non arrivare neanche a metà maggio: i fornitori chiederanno di essere pagati per cassa e, senza soldi, la prospettiva è il fallimento. L’unica opzione sarebbe quella di un (ennesimo) intervento statale, ma qui l’Unione europea potrebbe dire no. Rammarico anche da parte del ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda che ha commentato: «Rammarico e sconcerto per l’esito del referendum Alitalia che mette a rischio il piano di ricapitalizzazione della compagnia».