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Referendum 2016 Trivelle, L’Espresso: “10 cose da sapere”

Il referendum 2016 sulle trivelle è ormai alle porte e L’Espresso ha voluto soffermarsi su 10 importanti punti da conoscere e valutare prima di recarsi in sede di voto. Domenica 17 aprile i cittadini italiani saranno chiamati a votare e decidere l’abrogazione dell’articolo 6 comma 17 relativo ai permessi di estrazione degli idrocarburi in mare, una questione molto delicata che non è possibile prendete sottogamba.

I punti da focalizzare relativi al referendum 2016 sulle trivelle sono 10. Di seguito l’elenco:

  1. Cosa si vota nel referendum del 17 aprile? Richiesto e ottenuto da 10 Regioni d’Italia, nove se si considera il passo indietro dell’Abruzzo, il referendum servirà per decidere se l’estrazione degli idrocarburi in mare entro le 12 miglia dalla costa (cioè circa 20 Km da terra) debba durare fino al termine della concessione o fino ad esaurimento della risorsa (come avviene attualmente). Qualora dovesse vincere il “sì” le attuali trivelle verrebbero smantellate.
  2. Quanto dura una concessione e quali effetti produrrebbe il referendum? Dai dati provenienti dal ministero dello Sviluppo economico esistono 135 piattaforme e teste di pozzo di cui 92 presenti entro le 12 miglia. Se dovesse essere raggiunto il quorum con la vittoria del sì ad essere smantellate sarebbero dunque più della metà delle trivelle, ciò però avverrebbe gradualmente. La concessione rilasciata dallo Stato è infatti trentennale e questa può essere prorogata una prima volta per altri dieci anni, una seconda volta per cinque anni e una terza volta per altri cinque anni. Allo stato attuale delle cose quindi la prima trivella verrebbe chiusa tra due anni e l’ultima nel 2034 quando scadrà la concessione rilasciata ad Eni e Edison per trivellare a Gela, in Sicilia.
  3. Il referendum del 17 aprile 2016 comprende un solo quesito. È bene sapere che inizialmente i quesiti erano sei: che fine hanno fatto i restanti 5 quesiti? Sono stati sterilizzati da alcune modifiche apportate alla Legge di Stabilità. Questi quesiti miravano ad attribuire un ruolo di primaria importanza nelle decisioni sullo sfruttamento di gas e petrolio agli enti locali. Questo ruolo è stato ridimensionato, al fine di velocizzare il processo, dalla legge Sblocca Italia: alle Regioni è stato quindi restituito il potere originario.
  4. Le piattaforme generano una percentuale di inquinamento? Dai dati raccolti dal 2012 al 2014, esaminando le cozze che vivono in prossimità di queste piattaforme il cui maggiore numero si trova nell’Adriatico, è stata rinvenuta una percentuale di sostanze chimiche superiori ai limiti imposti dalla legge. Tuttavia è bene ricordare che i limiti di legge valgono per le acque che distano dalla costa un miglio (le piattaforme si trovano a una distanza maggiore e quindi si rifanno ad altri limiti); l’Ispra infine sostiene l’inesistenza di criticità per l’ecosistema marino legato alle piattaforme.
  5. Il maggior numero di piattaforme in Italia si concentra nel mar Adriatico. Il processo di estrazione comporta una fuoriuscita, anche minima, di petrolio: dati provenienti dal Parlamento europeo parlano di oltre 9.000 casi rilevati dai satelliti dal 1994 al 2000 e relativi al solo Mediterraneo. Nonostante ciò Assomineraria fa leva su un altro fattore: sebbene la riviera romagnola ospiti circa 40 piattaforme, nella scorsa stagione sono state assegnate proprio alla riviera ben 9 bandiere blu, simbolo di un mare pulito.
  6. Cosa si estrae da queste piattaforme? Prevalentemente metano. Sempre stando ai dati del ministero dello Sviluppo economico tali estrazioni nel 2015 hanno costituito il 28.1% della produzione di gas e il 10% di produzione petrolifera, soddisfacendo il 3-4% dei consumi di gas e 1% di petrolio. Se nel referendum del 17 aprile sulle trivelle dovesse vincere il “sì”, la conseguente chiusura delle piattaforme costringerebbe l’Italia ad aumentare l’importazione degli idrocarburi.
  7. La gestione del maggior numero di tali piattaforme è a cura di Eni, azionista di maggioranza di ben 72 impianti su 92. I restanti impianti sono di proprietà di Edison (15) e Rockhopper (1). Tali compagnie, Eni in particolare, sostengono il no al referendum in quanto, in caso contrario, molte famiglie rimarrebbero senza lavoro. Attualmente le trivelle danno lavoro a circa 29mila persone, ma perderebbero tutti il posto di lavoro? Considerando che la chiusura delle piattaforme sarebbe dilazionata nel tempo (come spiegato nel punto 2), secondo Mingozzi, vicesindaco di Ravenna, si verrebbero a contare, nell’area della cittadina emiliana, 3.000 posti di lavoro in meno rispetto a oggi.
  8. Quanto viene ricavato dall’attività estrattiva? Le società petrolifere sono sottoposte a una tassazione. In Italia questa è pari al 63,9%, percentuale decisamente alta rispetto agli altri Paesi Ocse; inoltre per gli idrocarburi occorre pagare una royalties in più che è pari al 7% per il gas e 4% per il petrolio. Nel 2015 tutte le estrazioni hanno fruttato quindi 352 milioni; 38 milioni si sono ricavati dalle piattaforme presenti entro 12 miglia: cifra nel complesso non rilevante.
  9. L’Italia sta investendo sull’energia rinnovabile, ottenendo nel 2015 una media del 17,3% nei consumi nazionali. Percentuale positiva se si considera che l’obiettivo fissato dall’UE era quello di raggiungere il 17% di energia prodotta entro il 2020, negativa se si considera invece che in altri Paesi l’energia rinnovabile copre oltre il 50% dei consumi.
  10. Quali sono i Paesi d’Europa che trivellano? In ordine: Regno Unito (486 piattaforme); Olanda (181); Italia (135); Danimarca (61); Germania, Irlanda, Spagna, Grecia, Romania, Bulgaria, Polonia (˜10).  A questi si potrebbero presto aggiungere Malta, Cipro e Croazia, ma nel Mediterraneo trivellano anche Libia, Egitto, Israele e Algeria!

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