Deux – Two of Us: Recensione del film sull’amore omosessuale
Recensione di Deux - Two of us di Filippo Meneghetti. Il film tratta della storia d'amore repressa tra due donne anziane e dell'insorgere di un ictus.
La toccante storia di due donne anziane che si amano di nascosto riesce a colpire il pubblico della Festa del Cinema di Roma, ecco la recensione del film
L’italiano Filippo Meneghetti presenta alla Festa del Cinema di Roma, dopo il successo riscosso a Toronto il suo lungometraggio d’esordio, Deux (Two of Us). Il film ha come protagoniste assolute Barbare Sukowa (Nina), conosciutissima per aver lavorato con Fassbinder, Lars Von Trier e Cronenberg e Martine Chevaller (Mado) attiva principalmente nel teatro.
Le due protagoniste, entrambe in terza età, si amano segretamente da oltre trent’anni, quando si conobbero per caso durante una vacanza a Roma. Una volta in pensione e libere da legami matrimoniali, Nina si trasferisce sullo stesso pianerottolo di Mado. Le due convivono di nascosto e mantengono le apparenze definendosi “vicine di casa”.
Il loro progetto di fare coming-out e trasferirsi insieme a Roma viene bruscamente interrotto dall’ictus che colpisce Mado e la costringe ad uno status semi-vegetativo. Risulta impossibile per Nina continuare a vedere la sua amata dovendosi destreggiare tra badanti e figli decisamente egoisti.
Deux – Two of us: la difficile accettazione dell’omosessualità femminile
Nonostante si stiano facendo notevoli passi in avanti, l’accettazione dell’omosessualità femminile è ancora poco comune, specialmente se ad amarsi non sono due giovani, ma due signore con vita ed esperienza alle spalle. Meneghetti riesce a confezionare un film assolutamente opprimente: lo spettatore rivive la tragedia umana vissuta da due donne che non possono amarsi pubblicamente.
Dopo l’incidente che colpisce Mado, triste casualità, Nina è trasportata in una spirale di disperazione ed angoscia vedendosi negata la sua casa de facto e la sua convivenza con la donna malata. Vorrebbe, come ogni persona, voler stare accanto ed accudire Mado, ma il tutto le viene negato dalle circostanze.
Il film di Meneghetti parte da situazioni assolutamente verosimili e giunge a conclusioni altrettanto reali, ma nel suo svolgimento è fortemente simbolista. I primi piani su un rumoroso orologio, le abitudini quotidiane delle due donne, i desideri inespressi: tutto è sottinteso con abile maestria.
La fotografia, in gran parte monocromatica, riesce comunque a distinguere ambienti asettici come l’ospizio in cui Mado verrà rinchiusa, ambienti casalinghi ed ambienti solitari che ne fanno il contraltare.
Il grande tema dell’oppressione su mogli e madri
Al centro c’è, ovviamente, l’oppressione della donna in tutte le sue forme, spesso praticata e perpetrata da donne stesse. Mado è costretta a vivere una vita infelice, sottomessa al marito violento ed incapace di esprimere i suoi desideri e la sua sessualità. Dopo la morte del marito oppressore, è la figlia che – per salvare il ricordo di famiglia unita – osteggia i desideri della madre.
Pur avendo compreso quali siano i motivi delle strane incursioni in casa della vicina, preferisce non vedere, difendendo il passato che avevano visto la madre vivere da sottomessa. Stessa inumanità è rappresentata dalla badante della donna anziana, preoccupata più dello stipendio che del benessere dell’assistita, ma anche dai medici dell’ospizio, intenzionati a riempire di farmaci la paziente.
Il finale molto toccante ferma nel tempo le vicende e rende il film simbolo e idealizzazione di tanti conflitti interiori che neanche in tarda età riescono a placarsi.