Pol Pot Primo Ministro della Cambogia: era il 13 maggio 1976
“Pensate che io sia una persona violenta? No“. È l’ottobre del 1997 e Pol Pot, uno dei più efferati dittatori della storia, ha deciso di rilasciare la sua ultima intervista al giornalista americano Nate Thayer. L’ex despota – oramai condannato agli arresti domiciliari per il resto della sua vita – ha il corpo minato dalla malaria, e l’orrore adesso ha assunto il volto sofferente di chi sia prossimo alla morte. Ascoltando le parole, quasi sussurrate, con cui laconicamente elude ogni responsabilità criminale, risulta davvero straniante associarlo allo psicotico leader cambogiano di venti anni prima, ossessionato dalla purezza del suo popolo e dal ritorno forzato alla terra.
Pol Pot: l’elezione a primo ministro della Cambogia
È il 13 maggio 1976, quando Pol Pot diventa primo ministro della Cambogia. Ben presto si sarebbe raggiunto il fondo di quel vortice crudele, con cui il paese aveva iniziato a cancellare sé stesso, inseguendo lo scopo di un uomo nuovo finalmente incorrotto. Il 17 aprile 1975 i Khmer erano riusciti ad affermarsi nel conflitto che, da cinque anni, lacerava lo stato del Sudest asiatico. Il colpo di stato del 1970 aveva infatti deposto il re Sihanouk, che con il proprio anti-imperialismo filo-vietnamita preoccupava gli Stati Uniti, complici del sovvertimento e già impegnati senza risultati significativi contro Hanoi. Al nuovo governo rappresentato dal generale Lon Lol, i comunisti cambogiani (“Les Khmers rouges” appunto, come li aveva rinominati l’ex monarca) si erano opposti senza sosta, fino alla vittoriosa conquista della capitale Phnom Penh.
L’entusiasmo iniziale della popolazione è carico di speranze, per un nuovo corso della politica che viene immediatamente tradito. Nel giro di poche ore, i militari ordinano infatti l’immediata evacuazione dalla città; successivamente sarebbe toccato a tutti i centri urbani, in direzione delle campagne. Le metropoli, desertificate, restano ischeletrite dalla distruzione sistematica di quanto appartenuto ad un passato ripugnante, e perciò da annientare. Scuole, giornali, banche, televisioni sono elementi residuali di una civiltà borghese occidentalizzata e impura, che va quindi rifondata e rieducata.
Quando Pol Pot arriva ufficialmente al potere l’anno seguente, i lavori di “decontaminazione” raggiungono livelli esasperati. Prima di allora, egli era stato l’esponente di maggior rilievo all’interno del Partito comunista cambogiano, dopo che re Sianouk ne aveva fatto uccidere il capo, nel 1962. Il futuro tiranno si chiamava ancora Saloth Sar, aveva studiato in Francia e lì aveva cominciato il proprio apprendistato marxista. Solo dopo il varo della nuova Costituzione di Kampuchea, nel 1976, assume il nome con cui è ancora tragicamente noto e sulla cui origine si è variamente congetturato. Come la provenienza di questo appellativo (Pol forse da Paul in ricordo di San Paolo, possibile retaggio delle scuole cattoliche che davano soprannomi ai bambini?), anche la sua figura risulta quasi misteriosa, raramente concessa agli occhi della gente. Il terrore viene lasciato espandersi verso la Angkar, la temutissima Organizzazione che non si vede e che è ovunque.
I ritmi di lavoro nelle campagne sono logoranti, il cibo è scarso e la ferocia repressiva dei carcerieri è immediata e brutale, per la più piccola infrazione. La Cambogia è chiusa in un isolamento totale, mentre all’esterno circola l’immagine di un paese laborioso e sereno almeno fino al 1979. Nel gennaio le truppe vietnamite entrano a Phnom Penh, Pol Pot scappa al confine con la Thailandia ed il suo regime finisce. Dietro di sé lascia qualcosa come 1.700.000 morti in 4 anni, vale a dire che circa un quarto della popolazione è stato annientato; da fuori “Le Khmer Original” continua una guerriglia di coalizione, insieme con il redivivo Sihanouk e il movimento repubblicano. L’Occidente condanna senza remore, si potrebbe dire, ma non è così scontato. Gli Stati Uniti non hanno ancora elaborato la sconfitta in Vietnam, per questo accettano di finanziare i fuoriusciti con 85 milioni di dollari, mentre il seggio della Cambogia all’Onu viene attribuito proprio alla guerriglia.
Bisogna attendere la seconda metà degli anni 80, quando cioè l’esercito vietnamita inizia a lasciare il paese, per l’avvio di un processo di pace sotto l’egida delle Nazioni Unite. Che però non riescono ancora a disarmare Pol Pot, il quale viene arrestato proprio dal capo militare dei Khmer solamente il 18 giugno 1997, malato e quasi cieco ma non pentito. Ed è così che muore il 15 aprile del 1998, mentre Sihanouk (ancora lui) è di nuovo re dal 1993.