Paolo Borsellino e la strage di Via d’Amelio: il ricordo 25 anni dopo
Venticinque anni fa. Anni che passano rapidi, intensi. Veloci. Paolo Borsellino e Giovanni Falcone però, non passano mai. Grande è il sentimento che ci lega a questi due uomini che hanno fatto della lotta alla Mafia la propria missione. La loro è un’eredità di coraggio, scelte e abnegazione. In questa giornata, nel ricordo di Paolo Borsellino è il vile attacco terroristico, più conosciuto come “strage di Via d’Amelio“, del 19 luglio 1992 a dover risvegliare le coscienze d’ognuno di noi, affinché la Mafia, quel nugolo di vigliacchi assassini che si stringe intorno all’illecito capisca che no, Paolo e Giovanni non sono morti invano. Ma anzi, vivono costantemente in ciascuno di noi.
Paolo Borsellino: “Sono un morto che cammina”
Erano i giorni immediatamente successivi alla morte di Falcone e della sua scorta. Paolo Borsellino sapeva… sapeva di non esser tutelato a sufficienza. E l’aveva detto. Era “un morto che cammina”. Sapeva d’essere il numero uno dei ricercati dalla Mafia, “quello scomodo da toglier di mezzo”, il prima possibile e… se possibile, il più “scenograficamente“. Paolo Borsellino venne accolto dall’allora Ministro Nicola Mancino con una blanda stretta di mano all’interno dell’Anticamera del Ministero dell’Interno. Come un uomo qualsiasi. In un’intervista rilasciata a Bruno Vespa stupisce e lascia inebetiti ascoltare proprio da Mancino che non si preoccupò minimamente di contattare, subito dopo il suo insediamento, Borsellino per fornirgli adeguata protezione. Ma si sa, la storia siamo noi, ne scriviamo ogni frangente con le nostre scelte e, probabilmente, quelle dell’epoca non furono proprio corrette.
56 giorni. Solo 56 giorni. Una manciata continua di notti sicuramente insonni, d’ansie e preoccupazioni. Di solitudine, per Paolo Borsellino, stretto nella morsa della sua stessa vita, in un abito che si era cucito addosso in tutti quegli anni; un abito, calato con Falcone con dignità e tenacia, che ora stava diventando troppo stretto.
I “due sorrisi della Giustizia” spenti dalla Mafia
Noi vogliamo ricordarli così: due colleghi, due amici sorridenti vicini nella stessa lotta; due coraggiosi italiani che, imbracciando la legge, hanno dato uno smacco senza precedenti a “Cosa Nostra“. Cosa di tutti, diceva uno scrittore. Perché la Mafia deve interessare tutti noi; perché serpeggia vile nelle nostre città, s’insinua nei cuori dei nostri giovani, sempre più ammorbati dal futuro incerto e da condizioni di vita precarie.
In quel torrido 19 luglio 1992 l’afa estiva di un pomeriggio “qualunque” era diventata insopportabile. Lo scenario era apocalittico quasi quanto a Capaci, ma li…nelle campagne, sull’autostrada c’era spazio. Qui, in via Mariano D’Amelio 21 la strada era stretta; troppo stretta. Tutt’intorno palazzi residenziali e auto. Più che una via un vicolo e a due passi la casa della madre di Paolo Borsellino, dove il giudice in quella domenica si era recato in visita.
Erano quasi le 17:00. Una Fiat 126 rubata, contenente all’incirca 90 chili di esplosivo Semtex-H (una potente miscela di PETN, tritolo e T4) telecomandati a distanza, viene fatta “brillare”. Nella terribile deflagrazione perdono la vita Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (la prima donna a far parte di una scorta), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto è l’agente Antonino Vullo, risvegliatosi in gravi condizioni in ospedale, dopo l’esplosione.
Istantanea di un’efferata guerriglia urbana
Così racconterà in seguito proprio Vullo, rievocando quei terribili istanti “Il giudice e i miei colleghi erano già scesi dalle auto, io ero rimasto alla guida, stavo facendo manovra, stavo parcheggiando l’auto che era alla testa del corteo. Non ho sentito alcun rumore, niente di sospetto, assolutamente nulla. Improvvisamente è stato l’inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L’onda d’urto mi ha sbalzato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c’erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto…”
Lo scenario descritto dal personale della Squadra Mobile locale è davvero toccante e ci porta immediatamente in quella via, che gli agenti di scorta dichiararono spesso essere una strada pericolosa in quanto davvero stretta; così tanto che, come rivelato in un’intervista rilasciata alla RAI da Antonino Caponnetto, si richiese a suo tempo alle autorità di Palermo di vietare il parcheggio di qualsivoglia veicolo davanti alla casa. Una richiesta rimasta però senza seguito, fino al tragico epilogo. La Squadra Mobile parlò di “decine di auto distrutte dalle fiamme, altre che continuano a bruciare, proiettili che a causa del calore esplodono da soli, gente che urla chiedendo aiuto, nonché alcuni corpi orrendamente dilaniati”.
Questa terribile esplosione si ripercuote sulla vita degli abitanti, come del resto solo la Mafia sa “fare”, causando danni collaterali a catena: danni agli edifici, alle abitazioni private, nonché agli esercizi commerciali della via. A raggiungere via d’Amelio tempestivamente ci pensa, pochi minuti dopo l’accaduto il deputato ed ex giudice Giuseppe Ayala, che abitava nella vicinanze. Dinanzi ai suoi occhi la scena è indescrivibile.
Commemorazione a Palermo 25 anni dopo la strage di Via d’Amelio
Stamane la commissione parlamentare antimafia, guidata da Rosi Bindi ascolterà Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato, e Antonino Vullo, unico superstite della strage. Il ricordo di Paolo Borsellino e degli agenti di scorta che con lui persero la vita proseguirà in via D’Amelio nel pomeriggio. Alle 16.58, in particolare verranno ricordate le vittime con testimonianze e letture, nel corso della manifestazione curata dal movimento delle Agende Rosse. Si proseguirà alle 18:00 con una messa in Cattedrale voluta dalla Questura e officiata da don Luigi Ciotti. Proseguiranno in serata altri eventi dedicati a questa giornata.