Nelson Mandela Day, cosa si celebra?
“Sapevo che l’oppressore era schiavo quanto l’oppresso, perché chi priva gli altri della libertà è prigioniero dell’odio, è chiuso dietro le sbarre del pregiudizio e della ristrettezza mentale. L’oppressore e l’oppresso sono entrambi derubati della loro umanità”.
Nasceva esattamente cento anni fa, il 18 luglio del 1918, l’uomo che segnò la storia della lotta per la libertà. Nelson Rolihlahla Mandela, nato in un villaggio sudafricano sulle sponde del fiume Mbashe, a Mvezo, non perse un secondo della sua esistenza per opporsi alle prevaricazioni di una realtà corrotta. Fuggì a soli diciannove anni per evitare un matrimonio combinato, recandosi a Johannesburg, sede degli studi di legge che più lo resero simbolo e vincitore della lotta politica che lo videro protagonista dal 1940 in poi. Oppositore del regime sudafricano, che negava i diritti politici, sociali e civili alla maggioranza nera sudafricana, Nelson Mandela si fece promotore di un attivismo trionfante. Dapprima con la fondazione dell’associazione giovanile Youth League, poi con l’ufficio legale a basso costo Mandela e Tambo, fino alla Carta della Libertà, datata 1948, specchio di una rivoluzione anti-apartheid senza precedenti storici. D’altronde per Madiba, soprannome etnico del padre del Sudafrica, esisteva libertà personale solo nel rispetto di quella altrui, obiettivo di una vita trascorsa combattendo. Era il cinque dicembre 1956, quando Mandela visse l’inizio di un lungo tempo dietro le sbarre, fino alla condanna all’ergastolo nel 1963: era stato accusato di coinvolgimento nell’organizzazione di un’azione armata, cioè di agevolazione di un’invasione territoriale a carico di altri Paesi, reato di cui Nelson si dimostrava innocente. Una prigionia di ventisette anni che non smorzò neppure per un secondo la tenacia del detenuto 46664, vincitore nel 1993 del Premio Nobel per la pace. Un uomo che non conobbe resa davanti alle minacce di chi contrastava l’uguaglianza, la civiltà, la non-violenza. Non era da temere il mondo corrotto in cui era immerso assieme alla subalternità di cui si faceva fervente difensore. Mandela avrebbe ottenuto la morte categorica di ogni forma di discriminazione razziale, in nome del concetto etico e letterale del termine “libertà”. La dominazione, fosse essa bianca o nera, doveva polverizzarsi con quella che fu la più nociva delle armi umane, l’apartheid. Proposto come una strategia relazionale “di buon vicinato tra bianchi e neri”, si rivelò una vera e propria espropriazione indebita ai danni del popolo nero, incentivando le stesse differenze che Mandela avrebbe contrastato fino al giorno della sua morte. Nel 1994 è il primo presidente nero eletto con suffragio universale, stimato nel mondo e ancora protagonista attivo di importanti battaglie sociali, tra cui non si dimentichi quella all’AIDS. Diviene negli anni stendardo di sani principi, modello di una vita in società che il tempo porta saldamente sulle spalle. Promotore di iniziative che hanno reso il mondo un’isola di pace, più che di guerra, diffondendo una verità che ancora fa paura: “nessuno è nato odiando qualcun altro per il colore della pelle, o il suo ambiente sociale, o la sua religione. Le persone odiano perché hanno imparato a odiare, e se possono imparare a odiare possono anche imparare ad amare, perché l’amore arriva in modo più naturale nel cuore umano che il suo opposto”. Siamo tutti, ugualmente, esseri umani.