Muro di Trump e Messico, la risposta di Starbucks: assumerà 10.000 rifugiati
Era evidente che il nazionalismo esasperato promesso e reso operativo da Trump avrebbe trovato i suoi concreti oppositori. Tra queste voci discordi, si è subito levata anche quella di Starbucks, la catena statunitense (ma con diffusione globale) di caffetterie fondata nel 1971 da Howard Schulz. L’azienda – come esplicato in una lettera ai dipendenti firmata dallo stesso Schulz, attuale presidente ed amministratore delegato – assumerà infatti 10.000 rifugiati nei prossimi cinque anni, cominciando proprio dagli Stati Uniti.
Questa scelta inclusiva parte da un dato di ben più ampia portata, che il documento non manca di ricordare: nel mondo sono 65 milioni i cittadini cui sia stato riconosciuto dall’ONU quel preciso status giuridico, e Starbucks vuole quindi proporsi quale “luogo terzo di tregua per coloro che la cercano ogni giorno”. L’iniziativa partirà appunto dagli States, concentrando i propri impegni “nel dare lavoro a quelle persone che sono state al servizio delle truppe statunitensi in qualità di interpreti e personale di supporto”.
In un contesto politico arroventato dalle promesse di Trump di erigere un muro al confine messicano, Starbucks risponde che bisogna “costruire ponti, anziché muri”, forte anche dei 600 punti di ristoro che nel solo Messico impiegano 7.000 persone. Ed è chiaro quindi che la preoccupazione di Schulz riguarda la guerra commerciale che si sta ora delineando in maniera sempre più marcata: il presidente Usa minaccia, quello messicano risponde con il boicottaggio dei marchi oltrefrontiera, invitando a privilegiare i prodotti interni. E se c’è chi, come il governatore del Campeche Alejandro Moreno, è convinto che azioni del genere “dovrebbero moltiplicarsi in tutto il paese”, Carlos Slim, l’uomo più ricco del Messico, invita altresì a ponderare una scelta del genere, considerando gli ingenti interessi americani in Centro America utili a creare posti di lavoro.