Morto in una settimana (o ti ridiamo i soldi): Recensione del Film
Anche il suicidio, a suo modo, è un’arte e Morto tra una settimana (o ti ridiamo i soldi) lo dimostra giocando su un tabù della nostra società, che è la morte, rendendolo leggero ed esilarante.
Un giovane scrittore di nome William (Aneurin Barnard) è da anni depresso per la prematura scomparsa dei genitori e per i suoi insuccessi lavorativi e sentimentali. William è uno scrittore, ma i suoi lavori non sono apprezzati da nessuna casa editrice ed è costretto ad arrotondare facendo il bagnino.
Al suo ennesimo tentativo fallito di suicidio decide di affidarsi ad un killer professionista che uccide su commissione, una sorta di “eutanasia vivente”. Il killer a lui assegnato, Leslie (Tom Wilkinson), è una vecchia gloria del mestiere, ma ormai la sua anzianità gli fa perdere colpi. Uccidere William è l’unico modo per permettergli di continuare il lavoro dopo diversi insuccessi. Succede, però, che una casa editrice contatta il giovane scrittore per pubblicare il suo libro e conoscerà una bellissima ragazza. Adesso è il ragazzo a dover scappare dalla morte in maniera del tutto comica.
Morto in una settimana: il trionfo dell’humor britannico
Il film è ciò che più si avvicina alla definizione del cosiddetto “humor britannico”: reggendosi su una situazione palesemente paradossale (non esistono, ovviamente, killer che fanno firmare contratti a chi vuole suicidarsi), esplora il tabù per eccellenza dell’umanità che è la morte.
L’esasperazione di determinati clichè come quello del novello scrittore depresso che cita le parole di Albert Camus; oppure di un pianoforte che uccide persone innocenti per strada; oppure ancora degli infallibili killers dell’Est Europa permette di reggere un’ottima commedia sulle spalle di un’unica suggestione: un sicario maldestro che cerca lavoro.
La trama è ovviamente prevedibile già dall’inizio, assurdi colpi di scena salvano la vita a William che – nella sua passività – è in attesa di qualcosa che gli dia senso per vivere. E, come in un cartone animato, la trova tutta in un sol colpo nella persona di Ellie (Freya Mavor).
Caricatura e autoironia
Ellie è una giovane editor con un passato altrettanto strano e con diverse manie di suicidio che riesce a comprendere gli strampalati discorsi di William sulla morte e sulla natura delle cose. L’animo caricaturale è anche in questo: se lui è lo stereotipo dell’intellettuale moderno, lei interpreta i panni della ragazza sagace e intelligente ignorata dai più.
Anche il personaggio del sicario è ottimamente caratterizzato ed interpretato. Leslie è l’incarnazione di tutti coloro che in passato sono stati vecchie glorie in qualcosa e hanno paura di cedere il passo ad una nuova generazione che opera in maniera differente. È quindi costretto a fare un vero e proprio lavoro d’ufficio e scandagliare ponti e burroni per cercare in extremis qualche sventurato suicida.
In definitiva, nel film ogni personaggio è la caricatura di sè stesso; ma allo stesso tempo ognuno è dotato di una profonda carica vitale e cognitiva. Non manca neanche il black humor su gravi malattie fisiche o su intere nazionalità.
Registicamente lo svolgimento del film è abbastanza tranquillo, elemento che dà completezza ai neanche 90 minuti del film, e si perde spesso in lunghi dialogi botta e risposta basati su situazioni paradossali. Morto in una settimana strizza l’occhio ad un pubblico abbastanza colto, pullulando di riferimenti alla letteratura e al cinema, citando film come Ritorno al Futuro, Stuart Little e vagamente Bastardi Senza Gloria.
Ci sono, naturalmente, momenti di riflessione che comunque non tolgono il sorriso allo spettatore. Il film è nella sua totalità una commedia che tratta di morte ma è permeata incredibilmente di vita.