Maria Chindamo rapita e uccisa per un delitto d’onore?
Anno 2016. Ci troviamo in Calabria, a Laureana di Borrello. Maria Chindamo è una imprenditrice di 44 anni. Ha tre figli. L’anno precedente il marito si tolse la vita perché non era riuscito a gestire il dolore e la vergogna procurategli da quella donna che aveva tanto amato e sposato. La sua consorte aveva un amante da tempo e voleva rifarsi una vita nuova, buttando al macero tutto il suo passato.
Il 6 maggio del 2016, ad un anno preciso da quella disgrazia, l’auto di Maria viene rinvenuta col motore acceso e lo sportello aperto. Sangue ovunque, ma di lei nessuna traccia.
E’ stata uccisa? Sicuramente è scomparsa. Perché? C’è un nesso tra questo evento e il suicidio del consorte?
La sorella del marito suicida ora si prende cura di quei poveri bambini rimasti orfani di entrambi i genitori. Maria non li potrà più abbracciare perché qualcuno ha deciso di fare sparire la loro madre nel nulla.
Svolta nelle indagini
In queste ore pero’ le indagini della Procura di Vibo Valentia, convinta che Maria non sia solo stata sequestrata ma anche uccisa, grazie alla testimonianza di un misterioso personaggio, si sta mobilitando. Qualcosa bolle in pentola. C’è stata tutto ad un tratto una decisiva accelerazione delle indagini. Nuovi elementi stanno venendo a galla per la risoluzione di un giallo in apparenza senza movente.
Un automobilista avrebbe visto Maria proprio la mattina della sua scomparsa a pochi metri dall’ingresso della sua tenuta agricola. Era inseguita da un auto. Chi la guidava?
Sono da poco passate le 7 di mattina e la, ancora presunta, vittima ha un appuntamento con il custode della fondo agricolo di sua proprietà.
Deve farsi aprire il cancello, attende. Dopo qualche minuto giunge il guardiano che si ritrova ad assistere ad una scena inquietante. Maria non c’è, ma sul muretto e sulla sua auto sono visibilissime grosse macchie di sangue. Spaventato, il mezzadro non perde tempo e chiama il fratello della donna.
Grazie al testimone chiave. gli investigatori sono riusciti a rintracciare il proprietario della vettura che inseguiva Maria. Era ferma da tempo e priva di assicurazione. Avrebbe circolato solo poche ore quel maledetto giorno del 6 di maggio per poi essere essere demolita definitivamente.
Si attendono i risultati del Ris di Messina e si cerca di capire chi abbia manomesso le telecamere della villetta antistante la proprietà dei Chindamo.
Secondo il Criminologo Marco Strano, potrebbe trattarsi si un omicidio per vendetta. Sembrerebbe un’ipotesi assurda, ma negli anni sono accaduti episodi molto simili sul territorio. Pensiamo per esempio al caso Pesce del 1981: una donna uccisa il cui cadavere non fu mai stato ritrovato. La sua colpa? Aver voluto lasciare il marito; il caso Bellocco del 2013, famoso alle cronache perché fu il figlio stesso ad assassinare la propria madre. La sua macchia? Aver avuto un amante, un amante che fu, guarda caso, ucciso poco tempo dopo da un altra mano.
Sul territorio vige ancora il “Delitto d’onore”, una disposizione tremenda, retriva e umiliante specialmente per le Donne che ne erano le prime vittime. Si trattava di un“residuo legislativo”del Codice Rocco in vigore dal Fascismo. Il dettato originario della norma recitava:
Codice Penale, art. 587
“Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella”
L’art. 587 del codice penale consentiva quindi che fosse ridotta la pena per chi uccidesse la moglie (o il marito, nel caso a essere tradita fosse stata la donna), la figlia o la sorella al fine di difendere “l’onor suo o della famiglia”. La circostanza prevista richiedeva che vi fosse uno stato d’ira(che veniva in pratica sempre presunto). La ragione della diminuente doveva reperirsi in una “illegittima relazione carnale” che coinvolgesse una delle donne della famiglia; di questa si dava per acquisito, come si è letto, che costituisse offesa all’onore. Anche l’altro protagonista della illegittima relazione poteva dunque essere ucciso contro egual sanzione.
Analizzando ulteriormente questo caso notiamo un modus operandi tipico della criminalità organizzata, quella capace di disattivare prontamente le telecamere, di rimediare un automezzo e di riuscire a farlo subito rottamare. Gente che sa come muoversi senza lasciare tracce. Professionisti del crimine più efferato. Il caso Chindamo è stato quindi, secondo il Criminologo un omicidio su commissione, ma che parrebbe anche voler spandere un messaggio “di condotta morale” a tutta la comunità del luogo, e destinato, manco a dirlo, solo ed esclusivamente alle donne.