Luca De Pasquale, nuovo libro “Professione drop-out”: Intervista esclusiva a Newsly.it
Per Newsly.it la nostra redattrice Daniela Merola ha intervistato Luca De Pasquale: musicologo e scrittore, unisce la sua anima punk e jazz con la passione per la scrittura. Per la casa editrice “Homo Scrivens” ha pubblicato il volume “Professione drop-out”.
- Luca, parlami della tua passione per la musica, ami il punk e il jazz vedo.
La mia passione per la musica nasce intorno ai miei dodici anni… totalizzante da subito. In realtà, jazz e punk sono solo due parti di un insieme ben più ampio. Come dice il grande bassista metal Steve DiGiorgio, “sono in realtà un reietto proveniente dalla musica jazz-fusion”, ma sono stato per molti anni un “metallaro dai capelli corti” e non ho mai rinnegato quel mondo. Non riesco a seguire un solo genere musicale, da sempre; di certo post-punk, heavy metal e ogni musica che comporti un basso corposo è di mia pertinenza e interesse. Del jazz non mi piace di sicuro un aspetto troppo accademico e compassato e la tendenza a scrutare eccessivamente nei classici dimenticando l’oggi e il domani, ma è una musica di enorme forza, soprattutto in ambito free.
- La musica è per te una valvola di sfogo?
Come concetto di valvola di sfogo penso più alla scrittura che alla musica; la scrittura ha anche uno scopo catartico, di sovversione e di rinascita. L’ascolto “professionale” della musica ha più a che vedere, invece, con la passione tout court. Di certo, non scrivo senza musica.
- Hai esordito con la scrittura con la raccolta di racconti “tu non sai chi è Frank Ressel” (atì edizioni) del 2004, per poi proseguire con il volume “Napoli per le strade” (azimut edizioni) del 2009 ed ancora “se mi lasci non male” (kairos edizioni) del 2010. La musica è sempre presente nella tua scrittura, il tuo blog letterario si chiama “fumo, inchiostro e basso”
Il mio cammino da autore non è dei più tradizionali e non ha avuto una continuità; questo è dovuto soprattutto al fatto che non sono uno di quelli che si può permettere di “fare lo scrittore” senza un lavoro primario. Il primo libro valeva come aperta provocazione e lo ricordo con grande tenerezza; “Napoli per le strade” mi ha dato una momentanea notorietà della quale non ho sfruttato l’onda lunga, ma è stata una piacevole esperienza. Il blog non lo intendo –come molti pensano oggi- come “angolo tutto personale”, bensì come un luogo-non luogo dove scrivere senza il timore di essere castrato o censurato. E non vuole essere una sorta di diario on line, trovo queste operazioni riprovevoli e di nessun valore interiore, che è anche peggio. Il blog dev’essere una zona franca che non può però sostituire le pubblicazioni.
- Il tuo ultimo romanzo è “Professione drop-out”, che significa testualmente “buttare fuori” ma che posso tradurre più liberamente con “fuori dagli schemi”; parlami di questo titolo che affronta un argomento molto serio come la perdita di una identità sociale in seguito la perdita del lavoro, argomento, purtroppo, ancora troppo presente nella nostra società italiana.
La società di oggi è una macchina tritasassi cieca e spesso inutilmente crudele, che strumentalizza i fallimenti degli individui per renderli “materiale da evitare”. Il fallimento lavorativo di un individuo in questa società è il veloce viatico per eliminarne ogni velleità creativa, di presenza e di resistenza. L’argomento è troppo presente ancora, certo, e così sarà nei secoli dei secoli, considerato che troppo spesso confondiamo il progresso con l’esclusione di quello che sembra non rappresentarlo. In tal senso, “l’estromesso” è una macchia per la società dei superlavoristi, che continua a privilegiare il vincente per elevarlo ad esempio da seguire.
- Chi è il protagonista di “Professione drop-out” Aiace Pellicciotto?
Per Aiace mi sono liberamente ispirato ad Aiace Telamonio e a un personaggio mirabile generato dalla penna di Irvine Welsh, Bruce Robertson de “Il lercio”. Aiace è uno che è rimasto fuori dalla porta principale, per così dire; ma è probabile che nel suo stesso destino fosse previsto dall’inizio lo scacco esistenziale e il percorso solitario. Aiace è un uomo che da poco visibile diventa totalmente invisibile. Non per questo evita la rabbia; lui non cerca salvezza, cerca la deriva per salvarsi a modo suo.
- Aiace è un uomo pieno di rabbia, nel quale in tantissimi si possono riconoscere, un “fuori dagli schemi” appunto, che rifiuta ogni convenzione, uno che si ritrova senza lavoro. Perché hai scelto di trattare un argomento sociale così drammaticamente importante?
Ho scelto di trattare un argomento che conosco benissimo in ogni sua piega, perché sono io stesso un disoccupato, o meglio un lavoratore in mobilità. Ho perso il lavoro a quarantuno anni e mi sono ritrovato a dovermi reinventare, scrittura a parte; ho potuto provare sulla mia pelle, ed è ancora così, che il reinserimento nel mondo del lavoro (se non sei un manager o disponi di quelle utili conoscenze di ricollocamento sociale da tanti praticate) dopo una certa età e pura utopia. Di lì la rabbia sociale e di classe che connota Aiace. Una rabbia che si alimenta con l’ottusità dei suoi interlocutori occasionali e non; la tendenza oggi a smussare la portata di figure allo sbando porta ad accentuare le sue reazioni aggressive. La fissazione per le figure positive e per le storie a lieto fine è il più grosso errore che riscontro in giro oggi, soprattutto nel mondo della reale o presunta cultura.
- Aiace Pellicciotto è l’io narrante della raccolta di “Professione drop-out” e la sua è una narrazione grottesca, paradossale di tutta la società odierna, tra riflessioni amare sul genere umano. Come la puoi definire la tua scrittura?
Non mi è facile definire la mia scrittura. Banalmente, potrei dire “arrabbiata”, ma credo mi farei un torto, chiudendomi in un recinto e contribuendo così al gioco delle definizioni che è così proditorio per ogni attività creativa, a qualsiasi livello.
- L’alienazione sociale come conseguenza della perdita del lavoro credi che sia uno stato permanente o può cambiare questo stato dell’anima?
No, non è uno stato permanente. Dipende dall’eventuale reinserimento o meno negli ingranaggi di sussistenza. Chiaramente è il lavoro stesso –e come viene concepito- a creare alienazione sociale, laddove gli esseri umani si convincono di dover meritare il lavoro senza considerarlo per quello che è, un diritto. Sono davvero in pochi, al di là di dichiarazioni di facciata, a svolgere lavori ideali o aderenti allo spirito della persona. Inoltre, il lavoro dipendente oggi, e maggiormente in Italia, è un’autentica forma di castrazione. A questo bisogna aggiungere che i lavoratori dipendenti o “svantaggiati” hanno da tempo perso coscienza di classe, per perdersi in inutili e squallidi rigagnoli di individualismo spinto. Poveri contro poveri. Il lavoratore, per mangiare, è costretto a tradirsi come uomo. L’ho fatto anche io.
- “Professione drop-out” è davvero “fuori dagli schemi” dei soliti romanzi, delle solite raccolte di racconti, ora sei in promozione?
Non so se “Professione drop-out” lo sia di nome e di fatto nella narrativa italiana di oggi. Quel che mi premeva non era cercare l’effetto della mucca viola quanto scrivere quello che sentivo “in urgenza di scrittura”. Le raccolte di racconti, non intese come “collettive”, mi attraggono molto più della forma romanzo, che spesso può diventare asfittica e costrittiva. Oltretutto, per il romanzo occorre un ampio respiro e un’attenzione per la trama che sinceramente non fanno parte del mio DNA narrativo; come non sono nelle mie corde i gialli, tanto in voga oggi.
Riesco a leggere gialli solo quando a prevalere è l’elemento noir, per cui in Italia mi piace Manzini e in assoluto amo il “Tartan noir” scozzese, William McIlvanney su tutti, uno scrittore assolutamente da riscoprire. Henning Mankell era grandioso. Il mio libro è uscito da soli due mesi quindi sì, è in promozione per quanto si riesce a fare oggi senza major e colossi alle spalle. Ma le urgenze lavorative sono al primo posto nella mia scala di proprietà, proprio perché non ho scritto, come fanno in molti, di una materia sulla quale strologare da un tavolino con PC.