Lotta all’ISIS: l’eroismo dimenticato del Kurdistan
Il Kurdistan è una vasta regione della Mesopotamia, abitato dalla popolazione curda. A livello internazionale è riconosciuto come nazione, ma non come stato sovrano e il suo territorio è diviso tra Siria, Turchia, Iran e Iraq.
Il Kurdistan è un’area ricca di idrocarburi, ed è per questo che Turchia, Iran e Iraq si oppongono all’indipendenza. Nel 2017 un referendum ha stabilito che il 93% della popolazione curda sarebbe favorevole all’indipendenza dall’Iraq.
Nel territorio sono presenti diverse etnie: la maggioranza è costituita dai curdi, ma ci sono anche minoranze armene, assire e yazidi. Le religioni più presenti sono l’Islam e il Cristianesimo. Nel 1945, con l’appoggio dell’Unione Sovietica, si forma il partito popolare curdo, che un anno dopo proclama la Repubblica popolare curda in territorio iraniano. Quando le truppe sovietiche abbandonano il territorio, il Kurdistan viene di nuovo invaso dall’Iran e i vertici politici vengono condannati a morte.
Siccome il Kurdistan è ancora diviso, si sono formati nel tempo diversi partiti nazionalisti, che portano avanti la battaglia dei curdi nei territori nazionali in cui si trovano. PDK e UPK in Iraq, PJAK in Iran, PYD in Siria, ma soprattutto il PKK in Turchia, che ha spesso portato avanti una lotta armata ed è per questo osteggiato dalle forze politiche mondiali.
Siria e Turchia sono gli stati che più hanno condotto politiche razziali di repressione nei confronti del popolo curdo: in Siria la lingua curda non è riconosciuta, sebbene i curdi siano l’11% della popolazione; dagli anni ’60 circa 100.000 curi persero la cittadinanza e furono deportati.
In questi giorni, tornano alla ribalta notizie della difficile situazione siriana: dopo l’attacco con presunte armi chimiche nella città di Douma, si ricomincia a porsi quesiti sulla legittimità del conflitto. Quello che il mondo pare aver dimenticato è che la guerra in Siria, negli ultimi anni, è stata condotta soprattutto contro i militanti del sedicente Stato Islamico e che il primo avamposto della difesa sono stati proprio i curdi.
L’esercito curdo, in primis YPG e PKK hanno costituito per mesi l’avamposto principale contro l’ISIS. Città come Raqqa e Kobane sono state difese e infine liberate dai curdi. Un esercito spesso costituito da volontari, con un’altissima componente femminile: le “leonesse” o “partigiane” curde hanno difeso i civili siriani dall’invasione fondamentalista e spesso hanno dato la vita per questo.
Il popolo curdo ha combattuto una guerra che riguardava tutti, compreso l’Occidente, contro la repressione, l’estremismo e la dittatura, ma poi è stato abbandonato al suo destino. Un destiono che ora prevede che le città, che hanno coraggiosamente liberate, siano sotto la minaccia di un attacco turco, che condannerebbe migliaia di persone alla morte. La Tirchia di Erdogan minaccia continuamente di riprendersi territori sotto la protezione curda, come Kobane e Raqqa stesse, ma anche Afrin. In questa città e nel distretto omonimo, le forze governative turche hanno lanciato un attacco che ha costretto a condizioni disumane 200 mila civili curdi, nel totale silenzio occidentale. Allo stesso modo, la città di Aleppo, tristemente nota negli ultimi tempi per la violenza del conflitto siriano, era protetta dalle unità curde, che sono state “sfrutatte” per liberare la città dall’avanzata dell’ISIS e poi rinnegate e attaccate.
La problematica curda resta quasi incomprensibile, parlando di politica internazionale. Ma se parliamo di una società organizzata e ideale, che sia di contraltare a ciò a cui assistiamo ogni giorno, è necessario rendere noto che i curdi sono riusciti nell’impresa di creare società pacifiche, multietniche e multi-religiose in un’area in cui etnia e religione sono ancora oggi motivo di conflitti e crimini. In città come Kobane, Afrin, Aleppo, i curdi, in particolare le unità dell’esercito composte dalle donne curde, erano riuscite a creare ambienti protetti e pacifici. In particolar modo è opportuno e doveroso ricordare che erano stati proprio i curdi a liberare le migliaia di vittime yazidi, soprattutto donne, che erano state rapite, torturate e sottoposte a indicibili violenze, da parte dell’ISIS.
In Italia, la popolazione curda non è molto numerosa, ma è spesso sostenuta dalla popolazione italiana: infatti, la manifestazione davanti alla sede del consolato Turco a Milano ha rcacolto il consenso di molti italiani, della popolazione curda in Italia, ma anche di molti Turchi residenti qui.
Parlando con chi proviene dal Kurdistan, spesso si sentono racconti di amici e familiari morti per combattere per la libertà, non solo del popolo curdo, ma anche per la difesa di quei popoli che solo qualche tempo prima avevano negato al Kurdistan l’indipendenza. Si sentono nominare amici, combattenti dello YPG, morti sotto le bombe turche o uccisi dai proiettili dell’ISIS, se non in modo peggiore; si sente raccontare di una voglia di tornare a casa e combattere per il proprio popolo e per un giorno avere uno Stato da chiamare casa.
E quello che più spesso si sente dire è questo: non riguarda solo i curdi, non stiamo parlando di un territorio solo, di interessi geopolitici, questa cosa riguarda tutta l’umanità.