La Marcia del Ritorno, la protesta del popolo palestinese
La Marcia del Ritorno è una protesta indetta dal popolo palestinese dal 30 marzo, che si prevede duri circa sei settimane.
La marcia finirà il 15 maggio, poiché in questo stesso giorno nel 1948, al termine della Seconda Guerra Mondiale, in un contesto di decolonizzazione, viene proclamata la nascita dello Stato di Israele, in quella che per la religione ebraica è la Terra Promessa.
La storia
Questo territorio è parte dell’Impero Ottomano fino alla fine del primo conflitto mondiale; dal 1920 diventa un protettorato inglese, dando inizio all’immigrazione della popolazione ebraica da tutta Europa; nel 1947, quando le truppe inglesi lasciano il territorio, viene proclamata la sovranità di Israele, che verrà poi sancita nel giorno della Nakba (appunto, il 15 maggio 1948), come la chiamano i Palestinesi, cioè la “catastrofe”.
Da questo momento, iniziano diversi conflitti, che vengono definiti arabo-israeliani, tra l’esercito del neo-formato Stato di Israele e le truppe della resistenza palestinese. Il popolo palestinese, rimasto senza terra e costretto nei campi profughi, comincia una diaspora nei paesi arabi limitrofi, come Libano, Giordania, Siria ed Egitto. Molti, però, non accettano di essere cacciati dalle proprie case e si organizzano in gruppi di resistenza, dando il via ad una serie di scontri che durano fino ai giorni nostri.
Dopo due Intifada (in arabo, rivolte, scoppiate nel 1987 e nel 2000) la Striscia di Gaza è un territorio diviso. Da una parte Hamas, organizzazione militarizzata ed estremista, che controlla il territorio e fa largo uso della lotta armata; dall’altra, Al Fatah, organizzazione facente parte dell’OLP (organizzazione per la Liberazione della Palestina) che si oppone alle violenze e adotta una politica moderata e laica.
Perché queste date?
La scelta delle date non è casuale: il 30 maggio, per i palestinesi è il Land day, ovvero il giorno in cui le truppe israeliane marciarono nei territori palestinesi cacciano più di 750mila persone dalle proprie case. Dal 1948 la protesta araba non si è interrotta. Ad oggi il numero di profughi palestinesi si aggira intorno ai 5 milioni. In particolare, nella cosiddetta Striscia di Gaza, vivono 1 milione e 700 mila profughi, tra cui numerosi bambini e anziani, che sono costretti a vivere in condizioni disastrose: la disoccupazione è a livelli altissimi e nei campi allestiti manca la corrente per più di 12 ore ogni giorno.
Ad inasprire le tensioni giunge la decisione del Presidente americano Trump che riconosce Gerusalemme come capitale israeliana e decide di spostare qui l’ambasciata americana in Israele.
La protesta denominata come Marcia del Ritorno inizia dopo l’uccisione di un contadino palestinese da parte dell’esercito israeliano, dopodiché circa 30mila persona si mettono in marcia, proclamando il carattere non violento della manifestazione.
Nel corso della prima giornata di manifestazione, il bilancio è di 10 vittime e 1000 feriti, tutti palestinesi. I portavoce dei manifestanti dichiarano che i cecchini israeliani avrebbero aperto il fuoco sulla folla, mentre Israele dichiara essere stato costretto ad un’azione militare da focolai violenti. Un video emerso proprio in questa giornata dimostrerebbe che i cecchini israeliani avrebbero sparato su una folla pacifica, tra cui erano presenti donne e bambini.
La questione palestinese
Ad oggi, il numero di vittime palestinesi si aggira intorno alla trentina, con più di 1500 feriti.
I media continuano a parlare di scontri, lasciando trasparire che si tratti di tafferugli e piccole rivolte, quando in realtà ci troviamo di fronte ad una vera e propria guerra, iniziata nel 1948 e mai conclusa. Nel corso degli ultimi settanta anni, le potenze internazionali si sono più volte schierate. Ogni volta che l’ONU è intervenuta, almeno nei primi tre conflitti arabo-israeliani, lo Stato di Israele ha goduto di benefici e conquiste territoriali.
La situazione palestinese, al contrario, non ha fatto che aggravarsi. Non sono mancati episodi di sostegno da parte della comunità internazionale. Nel 2014, l’ONU riconosce la Palestina come entità nazionale, ma non sovrana, promuovendola a stato osservatore non membro delle Nazioni Unite, con 138 voti a favore, tra cui quello italiano.
Ci sono anche diversi Stati che riconoscono la sovranità nazionale Palestinese: nel 2012, il governo palestinese sostiene che siano 122, tra questi molti paesi della Lega araba, la maggior parte dei paesi africani e del Sudamerica.
Attualmente, la “questione palestinese” è uno dei punti cardine della politica estera di molti paesi, come durante la Guerra Fredda lo era stata la questione del Muro di Berlino. La città di Gerusalemme è contesa come lo fu la città di Berlino fino alla caduta del Muro nel 1989. Un muro separa la Striscia di Gaza dal territorio israeliano e chi si trova dalla parte “sbagliata” del muro vive in condizioni pietose.
I manifestanti chiedono di poter tornare nelle loro case, chiedono che i propri discendenti abbiano una vita più dignitosa, che sia restituito loro qualcosa che sentono proprio di diritto: la terra in cui hanno affondato le radici nel corso di centinaia di anni.
Israele, autoproclamatosi Stato nel 1947, ha ricevuto l’appoggio delle Nazioni Unite, condannando milioni di persone a vivere in condizioni di estrema povertà. I leader palestinesi hanno chiesto l’intervento dell’ONU anche nell’arco di questa Marcia del Ritorno, mostrando al mondo i dati racconti dall’UNRWA (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’impiego e il soccorso dei rifugiati palestinesi), che indica come rifugiati palestinesi le persone e i loro discendenti che furono costretti ad abbandonare le proprie case tra il 1946 e il 1948, in seguito alla proclamazione di Israele. Non si parla di invasione, seppure le caratteristiche siano quelle del peggior tipo di colonizzazione.
Mentre la comunità internazionale si divide, celebrando l’anniversario della caduta del Muro, della liberazione di molti Paesi dalla schiavitù dei regimi totalitari, la questione palestinese resta una delle peggiori macchie nella coscienza dei Paesi fondatori delle Nazioni Unite. Seguendo l’esempio americano, quasi tutti i membri dell’ONU ignorano totalmente il diritto del popolo palestinese a far ritorno nelle proprie case. I media inoltre minimizzano gli attacchi di Israele nei confronti di manifestanti pacifici, ma forse oggi i mezzi di comunicazione sono più forti di qualsiasi repressione e riescono, grazie alla rete, a raggiungere le coscienze di milioni di persone, che hanno potuto vedere cecchini israeliani sparare sulla folla, mentre un gruppo di giovani nazionalisti israeliani inneggiava alla violenza.