“Green Book”: Trama e Recensione del divertente road movie con Viggo Mortensen
“Un sacco di persone sono sole in questo mondo e tutte hanno paura di fare il primo passo”. Dice più o meno così il a-tratti-saggio Tony (Lip) Vallelonga, ultimo personaggio interpretato dal magnifico Viggo Mortensen nel film “Green Book”.
Il “primo passo” a cui si riferisce potrebbe sembrare sinonimo di una dichiarazione, magari tra due innamorati troppo timidi per esprimere i propri sentimenti; in realtà, Tony sta parlando più di un “porgere l’altra guancia” o meglio, porgere una guancia qualsiasi, punto.
Mortensen interpreta un italo-americano del Bronx, che all’inizio degli anni ’60, fa il buttafuori in night club della movida newyorkese. All’improvviso il “Copacabana”, dove lui lavora, chiude per due mesi e nel frattempo deve sostenere la famiglia. Don Shirley (Mahershala Ali) è un americano di colore, ma cosa più importante, è un genio del pianoforte. Shirley decide di assumere Tony come autista e guardia del corpo durante la sua tournée nel sud degli Stati Uniti.
Siamo negli anni ’60 e il Sud degli Stati Uniti non era esattamente il posto più sicuro per gli afroamericani. Durante il viaggio per i vari Stati, passando per concerti privati e pubblici del trio Don Shirley, Tony dovrà fare i conti con la sua iniziale antipatia per le persone di colore.
Tony è un uomo semplice, alle volte volgare e irrispettoso, ma contrario alle ingiustizie. Perciò non capisce perché Shirley continui a suonare per quei ricconi bianchi che lo trattano da ospite d’onore per un minuto e il momento dopo gli indicano come bagno da usare quello nel giardino, fatiscente. Tony non comprende perché l’uomo per cui lavora continui ad annuire e a fare quello che gli viene detto, anche se dei poliziotti lo sbattono in galera perché i neri non possono circolare dopo il tramonto. Non vorrebbe utilizzare quel “green book” per trovare dei motel dove accettano solo neri. Tony reagisce perché è fatto così, mentre Shirley tiene tutto dentro e rimane solo. Lui è diverso, non solo dai bianchi, ma anche dalla sua stessa gente; non conosce i cantanti neri, non ama il cibo che di solito mangiano loro, non è al servizio di nessun signorotto bianco.
Shirley e Tony si completano: il primo insegna all’altro come parlare bene, come scrivere lettere romantiche alla moglie, come essere rispettoso dei luoghi e delle persone. Il secondo invece, insegna al genio a non vergognarsi di sé stesso, di non farsi mettere i piedi in testa da nessuno e soprattutto gli fa capire che soltanto lui ha voce in capitolo nella sua stessa vita.
“Green Book” è un road movie come non se ne vedevano da un po’ di tempo; divertente fino alle lacrime, ma anche commovente e un po’ agrodolce. È uno di quei film che ci fanno ritrovare la voglia di andare al cinema, che ci fanno capire fino in fondo perché il cinema sia così bello; perché sì, ci intrattiene facendoci passare due ore piacevoli, ma allo stesso tempo ci parla e ci chiede di ascoltare attentamente.
La storia vera di questi due uomini che fino alla morte, (avvenuta a pochi mesi di distanza l’una dall’altra) nonostante le differenze, sono rimasti amici riporta un po’ di speranza in tutti noi. È come se, una volta usciti dalla sala, ritrovassimo un pizzico di fiducia negli esseri umani.
L’ultima opera di Peter Farrelly ci fa riflettere e ci piace tanto perché racconta una storia universale, mai così attuale; gli anni ’60 erano ieri e oggi sono gli anni ’60. Che siate amanti o no dell’America di qualche decennio fa, del blues, delle strade di campagna viste dalla macchina e delle troppe sigarette fumate, “Green Book” vi entrerà nel cuore.
Ali e Mortensen regalano delle performance memorabili e forse, per l’attore de “Il signore degli anelli”, è giunto anche il momento per un vero riconoscimento da parte dell’Academy. Se non per altro, Mortensen meriterebbe un Oscar onorario per il suo divertentissimo italiano, se fosse possibile, proprio dal nostro Paese.