Genie Wiley, la bimba che visse isolata dal mondo per 12 anni
Un episodio di violenza brutale e gratuita ai danni di una bambina di soli 12 anni, che ha visto frantumarsi improvvisamente infanzia, adolescenza e speranze per il futuro. Questo è il caso di Genie, pseudonimo di Susan Wiley, una cittadina americana nata nel 1957 ad Arcadia, una piccola comunità nello stato della California.
La storia di Susan rappresenta indubbiamente una pagina nerissima della storia americana, nonché un caso di abuso di minore sui generiis consumatosi a livelli di cattiveria inauditi prima d’ora. Genie è stata definita per questo “bambina-lupo“, appellativo dato ai minori che trascorrono i primi anni di vita in totale isolamento dal mondo. Procediamo in ordine.
Gepostet von Genie Wiley am Samstag, 24. Dezember 2011
La vera storia di Genie Wiley
Susan è figlia di Clark e Dorothy Wiley, entrambi affetti da seri disturbi mentali. L’incubo della ragazzina comincia quando il padre decide di isolarla dal mondo, costringendola dal 20esimo mese di età a vivere in una stanza buia in condizioni davvero disumane: legata a una sedia di giorno e a letto di notte. In tal modo l’uomo credeva di proteggere la figlia dall’esterno, da quel mondo che considerava “nemico”, dopo che la madre della stessa era rimasta coinvolta in un drammatico incidente in tenera età. Incidente che le danneggiò la vista e ne acuì le turbe mentali, poi peggiorate con l’arrivo di Susan. Persino il fratello di Genie non poteva intervenire in nessun modo all’epoca essendo troppo piccolo.
La prigionia
Genie Wiley è stata vittima di abusi fisici e psicologici perpetrati per anni in un contesto, quello famigliare, in cui era stato imposto il silenzio più assoluto. Un habitat in cui non mancavano da parte del padre atteggiamenti che l’hanno condizionata dal punto di vista fisico e mentale e ne dunque hanno inficiato la crescita: basti pensare che all’età di 13 anni Susan ne dimostrava 7. Proprio in quella casa la bambina non poteva interagire con nessuno in quanto proibito; se solo osava emettere un suona, di conseguenza il padre la picchiava e le ringhiava addosso come se fosse un cane. Non riusciva persino a stare in piedi o parlare, né tanto meno mostrava stimoli o sensibilità al caldo o al freddo.
La scoperta
Genie trova la luce nell’ottobre del 1970 quando la madre, quasi cieca, fugge con lei in seguito ad una lite col marito. Fu proprio la madre ad allertare gli operatori dei servizi sociali i quali, tuttavia, non erano in grado di stabilire l’età della piccola: infatti fisico e capacità mentali di Susan non corrispondevano alla sua data di nascita. Un caso che all’epoca fece scalpore e divenne d’immediato dominio pubblico. Ciò portò il padre a suicidarsi con un colpo di pistola.
Gli studi
Genie fu trasferita in un ospedale pediatrico e soggetta a studi da parte di psicologi e linguisti che volevano constatare se la ragazzina potesse ancora imparare a parlare. Gli unici termini che sapeva ripetere, dunque conoscere, erano “blu”, “arancia”, “andare” e “mamma”. A livello comportamentale Susan non mostrava alcuno stimolo, al punto tale che nei momenti di stress urinava e defecava. In più, si masturbava davanti ad altre persone e sputava continuamente. Ipotizzabile la mancanza di empatia.
Nel corso degli anni si sono susseguiti tanti progressi a livello di terminologia e d’interazione con gli altri, sebbene non fosse in grado di vivere autonomamente. Tuttavia Genie, dopo ben cinque anni di terapia, non era capace di formulare una frase completa, a causa del passato troppo cruento. Per di più furono bloccati nel 1975 i fondi per le ricerche, considerato che il caso non suscitava più alcun interesse scientifico.
Di conseguenza, fu costretta a tornare in quella casa “degli orrori”, dove ancora abitava la madre. Convivenza di breve durata per Genie che successivamente fu condotta in una casa di cura, dove vive ancora oggi, dal momento che sua madre non se la sentiva di tenerla con sé. Ad oggi non si conoscono le condizioni di salute di Susan.