Generazione Erasmus: il 30° anniversario e l’intervista a de Matteo
Ricorre quest’anno il trentesimo anniversario del progetto di scambio europeo e con esso spegne trenta candeline anche quella che è definita la “Generazione Erasmus”, una generazione di ragazzi che partono per fini di studio e tornano arricchiti di un bagaglio umano, oltre che universitario.
Luglio 2017, mentre la sottoscritta sta lavorando a questo pezzo ci saranno in Europa milioni di ragazzi impegnati ad affrontare gli esami universitari della sessione estiva, altrettanti saranno occupati a ultimare la stesura delle loro tesi e altri ancora saranno alla ricerca dei loro primi impieghi nel mondo degli adulti. Il minimo comune divisore sarà la fascia d’età, dai 20 ai 30 anni. Siamo la “Generazione Erasmus”, quella che racchiude – utilizzando il nome del più famoso e riuscito Programma di mobilità studentesca dell’Unione Europea – una generazione globalista e cosmopolita, che non ha paura di riempire una valigia di t-shirt sgualcite, ideali e sogni, e partire alla scoperta di una nuova realtà, che sia per sei mesi, per nove o per una vita.
Erasmus: dalle origini alla Carta della Generazione Erasmus
Facciamo un po’ di storia, era il 1987 quando la professoressa Sofia Corradi, detta “mamma Erasmus”, reduce da una personale esperienza oltreoceano in cui non le vennero riconosciute tre materie brillantemente superate in madrepatria, decise di provare ad equiparare i vari titoli accademici. Adesso invece torniamo al presente, 9 maggio 2017 viene consegnata al Ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli e al Sottosegretario alle Politiche e agli Affari Europei, Sandro Gozi, la “Carta della Generazione Erasmus”. Sì, trent’anni dopo.
Trent’anni sono il tempo medio che occorre ad una generazione per imporsi, il tempo necessario anche per l’uomo per potersi definire addentrato nell’età adulta, e sono quelli serviti all’Europa per rilanciare il prima embrionale e poi adolescenziale progetto ad un livello universalmente riconosciuto di “adulto” e provare a investire maggiormente su di esso. In questi trent’anni il programma di scambio ha sempre diviso la popolazione in due barricate: quelli a favore e quelli contrari. Che novità! – starete pensando. La novità non è questa, ci si divide finanche su temi come le feste comandate, su chi è a favore della festa della donna e su chi la donna-la-devi-rispettare-tutti-i-giorni, figurarsi sull’idea di partire, abbandonare la patria e cercare la fortuna altrove.
La novità è che dall’altra parte della barricata, tra i sostenitori del pregiudizio, spesso risiedessero persone facoltose e addentrate, che avrebbero dovuto esserne promotori. Ma andiamo per gradi: qualche anno fa, Aula Magna di un ateneo italiano, una conferenza che vedeva impegnati relatori anche esteri, un professore fa una battuta che resterà nella storia del Dipartimento in questione, usata ad appannaggio di tutti coloro i quali cercavano un alibi per schierarsi a sfavore della suddetta mobilità. “Un cocktail di sesso, spasso ed alcol è una ricetta a cui oggi risulta difficile resistere, e così l’Erasmus si riduce alla possibilità di imparare una nuova lingua e farsi qualche scopata in più!”.
Poi c’è chi dall’altra parte invece, presenta statistiche e dati a supporto del progetto, la proiezione su cinque anni dal conseguimento della laurea è significativa, mostra il 23% di differenza di integrazione nel mondo del lavoro a favore degli studenti Erasmus sui loro ex compagni di università che hanno deciso di restare in patria. Il 69% dei laureati che hanno trascorso almeno un semestre all’estero è impiegato in un contesto lavorativo internazionale, superando di 5 punti chi ha scelto esclusivamente la propria patria per ultimare gli studi.
A quanto pare la statistica ha vinto sul pregiudizio e così il 24 febbraio in Campidoglio si è organizzato il “Primo Consiglio Italiano della Generazione Erasmus” presieduto dall’Agenzia Nazionale Erasmus+ Indire, Erasmus Student Network (ESN) Italia e alla fondazione GarageErasmus (gE), con la collaborazione del Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del MIUR, occasione di ascolto, dibattito e avvio di una riflessione critica intorno a tematiche come Europa Unita, Cittadinanza Europea, Erasmus for All e Mobilità Studio Lavoro.
Generazione Erasmus: l’intervista al Dr. Vincenzo de Matteo
Così, mossa da una idea ben precisa sull’Erasmus, ma fermamente convinta che il confronto promuova sempre scambi interessanti da cui le tue idee risulteranno rafforzate, implementate o messe in discussione, decido di contattare ed interpellare uno dei membri di ESN Napoli, il Dr. Vincenzo de Matteo che, in pieno spirito Erasmus di scambio di opinioni, ha accettato di buon grado e ha soddisfatto ogni mia personale curiosità.
Cosa penso io alla fine di questa chiacchierata? Penso che siamo la generazione che ha imparato che siamo sempre in transizione, che le cose importanti che abbiamo imparato le mettiamo sempre in discussione, che cose più importanti le potremmo scoprire solo vivendo (perché Battisti sarebbe stato senz’altro fautore di questa causa) e che tutto è in divenire. Chilometri abbiamo percorso e chilometri da percorrere ci spetteranno, ignari del tempo che ci servirà. Faremo tesoro di tutto, dalle malattie curate grazie alle diagnosi su Wikipedia, alle fotografie che ci ritraevano con i capelli blu che cercheremo di nascondere ai nostri figli, ma di cui rideremo di gusto poi. La generazione che dallo scambio ha capito chi voleva essere e che non ha mai dubitato di riuscirci, come Vincenzo, come me, e come ognuno di voi lettori.
Ciao Vincenzo, iniziamo subito con una provocazione, rispondici pure sia da ex partecipante al progetto Erasmus che da membro attivo di ESN Napoli. Abbiamo parlato già di pregiudizio e dei due schieramenti, pro e contro il programma, pensi che il bisogno e la curiosità del confronto con ciò che non è routine riescano a resistere da ormai trent’anni nonostante si provi a rendere squallido e superficiale il concetto dello scambio culturale? “Sì resistono e prendono sempre più piede. Si parte molto di più ed è cambiato anche l’approccio verso lo scambio culturale. Erasmus ormai non è più sinonimo di scorciatoia per recuperare gli esami in debito o per farne in gran numero in tempi minori rispetto al tuo ateneo di appartenenza, adesso l’Erasmus è una mentalità, è avere voglia di confrontarsi con mondi diversi, con culture diverse, prendere un po’ di loro ed esportare un po’ di te. Quindi sì, la curiosità del confronto non solo resiste, ma si è implementata anche di un profilo umano, oltre che universitario”.
Ogni generazione combatte come può, la nostra, quella di chi ha viaggiato e visto posti migliori e peggiori, come si difende? “Si difende bene. Si difende non avendo paura di mettersi in gioco, di vivere in quella generazione che è la via di mezzo tra il concetto di nazionalismo, come poteva essere la generazione dei nostri genitori, e quella di appartenenza all’Europa nella sua accezione di Comunità, non di continente, come quella prospettiva che si sta affacciando in questi anni”.
Mi spieghi meglio cosi intendi per “generazione di mezzo”? Mi piace questa definizione, la trovo coerente. Applicata alla “generazione erasmus” come adatteresti la sua esplicitazione? “E’ semplice, negli ultimi due mesi – non parlo di anni, ma di cinquanta giorni – è successa una cosa a tratti rivoluzionaria: la scomparsa delle tariffe in roaming delle compagnie telefoniche. Questo sai cosa porterà? Maggiore facilità nel mantenere i rapporti anche dopo l’Erasmus, maggiori interazioni con le famiglie e con gli amici che rimangono a casa. E’ tanto semplicistico quanto rivoluzionario. E’ il concetto di Europa che comincia ad abbattere le barriere delle singole nazioni per profilarsi come una vera comunità, cosa che gli USA hanno fatto quasi trecento anni fa”.
Attualmente quale lacuna più profonda avverti nel programma? “Le lacune sono sempre universitarie, più che altro si misurano con la possibilità di fare alcuni esami e non altri e di adattarli poi ai vari piani di studio, ma questo è un problema per cui comunque non è che puoi fare molto: se studi giurisprudenza in Italia devi tenere in conto che la legislazione spagnola piuttosto che belga sia diversa. Ma a livello burocratico invece è migliorato tantissimo , le pratiche si svolgono con una facilità maggiore rispetto a quindici anni fa. Come succede in ogni meccanismo che si olia col tempo si va sempre migliorando”.
Viviamo in un mondo 2.0, ormai si può tutto da casa anche immaginarsi all’estero pur restando in camera. Con i social ed il virtuale il peso di un Erasmus è lo stesso? “Parliamo di peso del ‘progetto Erasmus’ o di un ‘partecipante al progetto Erasmus’ perché così è troppo generico. Ok, intendi del progetto. Allora ti dico che forse con i social è addirittura maggiore. Se immaginiamo il progetto Erasmus come un diagramma a flusso troviamo una facilitazione sia in ingresso che in uscita. Mi spiego: in entrata immagino gli Erasmus che si accingevano a partire dieci anni fa che si affidavano al passaparola per conoscere qualche dettaglio sulla città che li avrebbe ospitati, sfruttando ad esempio colleghi universitari partiti per la stessa sede negli anni precedenti, lo studente Erasmus attuale si iscrive ai vari gruppi social degli ESN della città e così riesce ad avere una comitiva di amici ancor prima di partire da casa. Per quanto riguarda gli Erasmus in uscita nel diagramma, invece hanno maggiori possibilità di conservare i rapporti creati nella città ospite, con le chat, i social, l’assenza di roaming”.
Il progetto Erasmus è a rischio estinzione? “Assolutamente no. Io da membro dell’associazione ESN Napoli ho visto sempre più ragazzi venire da noi, iscriversi ed essere partecipativi. C’è anche chi decide di ritornare nella stessa città per il suo secondo Erasmus. Quindi no, l’anima Erasmus è sempre viva”.
Hai citato i gruppi social creati dall’associazione di cui fai parte. Che ruolo ha ESN Italia, in particolare Napoli, nelle vite dei partecipanti al programma di scambio? “ESN Napoli (Erasmus Student Network Napoli) è nata dall’incontro di ex studenti Erasmus che hanno conosciuto il mondo di ESN durante le loro esperienze all’estero e in Italia, la voglia di continuare a rimanere in contatto con le diverse culture, lo spirito di collaborazione e solidarietà tipico degli studenti fuori-sede e il desiderio di mettersi a disposizione di chi ogni anno intraprende la splendida esperienza di studiare all’Estero, sono il carburante che ci spinge a lavorare ogni anno in pieno volontariato e senza fini di lucro. I nostri obiettivi sono quelli di aiutare gli studenti stranieri che partecipano ai programmi di scambio inter-universitario durante il loro soggiorno presso l’Università di Napoli, favorire l’integrazione sociale degli studenti stranieri con gli studenti napoletani e la città di Napoli, offrire informazioni su tutti i programmi di scambio europei agli studenti napoletani, contribuire al processo di integrazione europea”.
Allargando gli orizzonti, l’Erasmus potrebbe essere una delle soluzioni all’integrazione e contribuire alla fine dell’odio? “Ma sicuramente si. Uno dei modi per abbattere l’odio è conoscere il vicino anziché temerlo. Viaggiare è allargare gli orizzonti, è familiarizzare con le altre culture, conoscerle ed apprezzarle. La cultura vincerà sempre sull’ignoranza e quindi sull’odio”.
A proposito di odio, gli attentati hanno frenato la voglia di partire nei giovani? “Penso che gli attentati abbiano spaventato più gli adulti che i ragazzi. Non penso che la paura frenerà la nostra generazione né la sua fame di sapere. Poi io sono fatalista, quindi…”
Parliamo di concretezza, le statistiche risultano molto positive nell’integrazione nel mondo del lavoro per i reduci dall’esperienza Erasmus piuttosto che per i loro colleghi rimasti in patria. Qualche esperienza positiva vissuta in merito? “Le testimonianze sul rapporto programma Erasmus vs mondo del lavoro sono per lo più positive. A me in prima persona fu proposta una collaborazione nell’università in cui svolgevo l’Erasmus, in Germania, ed era una gran bella occasione, così come quelle proposte a molte altre persone che frequento. L’Erasmus ti arricchisce, ti permette di imparare – o esercitarti nel suo uso – una nuova lingua. Così come ti mette in contatto con nuovi protocolli e strumentazioni, nuovi approcci verso il lavoro che ti danno solo le aziende estere, e contemporaneamente tu sei una risorsa per loro perché dai il tuo contributo arricchendoli col tuo background. Pensi che eventuali recruiters aziendali restino impassibili di fronte a ciò?”
Dai chiudiamo in maniera leggera, fosse esistito nel 1969 il progetto Erasmus, anni delle rivolte giovanili, quali sarebbero state le mete più ambite? “Beh questa è bella in effetti. Penso sarebbe stato curioso farlo a Berlino, la stessa città che vive due mondi, un muro che divide l’occidente industrializzato e l’est della città perfettamente omologato con le logiche imposte dai sovietici, una sola auto, la Trabant, le case tutte uguali. Russia ed Europa in una sola città. Si io avrei scelto ancora la Germania”.