Fondazione ATTUA: intervista al Presidente
ATTUA è una Fondazione che, attraverso una serie di relazioni costruite nel tempo, si propone di aiutare i promotori di validi progetti a reperire i finanziamenti e le sinergie necessarie a mettere in atto la loro idea. Abbiamo ascoltato il presidente della Fondazione il dott. Vanio Balzo per farci spiegare meglio come funziona questa realtà
- Come nasce la vostra Fondazione, quando e perché?
Attua nasce il 14 maggio del 2018, quindi possiamo dire di essere ancora molto giovani. È un progetto originale nel panorama associativo nazionale, non ne esistono altri esempi ed è stato pensato per attivare un nuovo meccanismo di partecipazione delle persone, finalizzato alla realizzazione di progetti.
- Dove avete sede e come vi finanziate?
La sede legale è a Napoli e abbiamo anche una sede di rappresentanza a Roma. Le modalità di finanziamento sono legate esclusivamente alla realizzazione di progetti: se per esempio riceviamo un’idea che merita di essere sviluppata e realizzata, attiviamo la nostra grande rete di relazioni per trovare i finanziamenti necessari, una piccola parte dei quali va a coprire le spese che la Fondazione deve sostenere.
- Quali sono le principali attività e a chi sono rivolte?
Essendo un ente no profit, le nostre attività sono rivolte all’ambito sociale, principalmente mediante azioni che stimolino un diverso approccio allo sviluppo. Ormai la sostenibilità di quello che facciamo è e deve essere sempre più il nostro mantra: non solo non si può più continuare a sprecare o utilizzare male le risorse, occorre anche cambiare mentalità nella gestione delle stesse, come purtroppo l’emergenza sanitaria in corso ci spiega fin troppo bene.
- Quali contributi avete dato negli anni alla programmazione della vita politica e socioeconomica italiana? Con quali risultati?
È troppo presto per parlare di bilanci. La gran parte dei due anni che ci separano dalla nostra nascita sono stati impiegati per strutturarci, a livello generale e nei territori, e per attivare i primi canali di raccolta di progetti. In merito al nostro contributo alla vita politica e socioeconomica, non parlerei in questi termini: il profilo di Attua è completamente diverso da tutte le altre Fondazioni che, in un modo o nell’altro, partecipano al dibattito pubblico, anche se dall’esterno. Noi non siamo un think tank, non organizziamo convegni di approfondimento politico, economico o culturale, semmai facciamo formazione nel campo della progettazione, offriamo ai soci, attuali o potenziali, gli strumenti conoscitivi per muoversi nei campi delle nuove professioni come per esempio la partecipazione a bandi europei o le moderne tecniche per fare o sviluppare impresa.
- Quali sono state le iniziative che avete portato avanti negli anni e quali quelle di cui siete più orgogliosi?
Abbiamo vari progetti in corso, due dei quali sono molto significativi. Uno riguarda l’area che ospita la Centrale idroelettrica di Presenzano, nel casertano, di proprietà di Enel. Ci è stato chiesto di progettare un percorso di coinvolgimento di tutte le realtà locali, istituzionali, associative, imprenditoriali, per costruire insieme un progetto di valorizzazione di un’area che si presterebbe ad attività di enorme impatto, anche occupazionale: nel campo turistico ed enogastronomico, nel campo sportivo, nel campo museale. L’altro progetto, del quale siamo particolarmente fieri, riguarda l’applicazione in Italia del SPI, acronimo che sta per Social Progress Index inventato sei anni fa dalla ONG di Michael Green, con sede negli USA.
La più grande agenzia internazionale di relazioni pubbliche e consulenza alle imprese, Deloitte, ha ricevuto l’incarico dalla Commissione Europea di sperimentare questo nuovo strumento di analisi del progresso sociale nelle regioni d’Europa. Si tratta di un set di indicatori, cinquanta, che spaziano dai bisogni primari delle persone, alla salute ed educazione di qualità, al rispetto dei diritti individuali, i quali, molto più accuratamente del PIL, che fu inventato 70 anni fa quando bastava misurare i consumi delle persone per intuire l’andamento del benessere, misurano il livello reale di benessere delle comunità e, quindi, sulla base di questo nuovo strumento, si creano le basi oggettive per l’utilizzo delle risorse e degli investimenti negli ambiti di maggior e miglior impatto. Attua è il partner esclusivo in Italia di Deloitte e di Michael Green per questa sperimentazione, che, a detta di tutti gli esperti, sarà rivoluzionaria e condizionerà positivamente le policy dei governi. Già oggi, a sei anni dalla sua invenzione, l’SPI viene sperimentato in regioni di 147 paesi in tutto il mondo e sta offrendo indicazioni fondamentali per l’indirizzo intelligente delle risorse, pubbliche e private.
- Quanti sono attualmente i soci? Quanti nei vari territori italiani? Chi fa parte oggi del direttivo e con quali deleghe?
Noi abbiamo due tipologie di soci: i cosiddetti Fondatori, quelli che hanno un ruolo più attivo e decisivo, li chiamo le antenne che captano i progetti e danno gli indirizzi programmatici alla Fondazione partecipando al Consiglio dei Fondatori; oggi sono 145 distribuiti in 10 regioni, ma quel numero è destinato a non fermarsi mai perché la definizione Fondatore non si riferisce a chi ha dato vita ad Attua, ma a chi entra in qualsiasi momento e “fonda” un nuovo nodo della rete infinita, nello spazio e nel tempo. Un po’ come l’idea della block chain. Poi ci sono i soci Partecipanti, oggi 200, che aderiscono con una piccola quota simbolica e che sono espressione del territorio e dell’idea partecipativa della Fondazione. Gli uni e gli altri costituiscono una rete fittissima di interscambio di competenze, esperienze, professioni, relazioni e sono la vera e propria forza della Fondazione. In merito all’organo esecutivo, il nostro CdA è composto da dodici membri, provenienti da tutte le regioni in cui siamo presenti, e proprio in questi giorni, da neopresidente, sto definendo con ciascuno di loro una specifica delega. Ovviamente la tesoreria, la comunicazione, la programmazione strategica, le relazioni istituzionali, il radicamento territoriale (che vorrei fosse combinato con la promozione della nostra campagna per il 5 per mille alle associazioni), e poi incarichi specifici per il sostegno a progetti qualificanti per la Fondazione.
- Qual è il vostro rapporto con le amministrazioni, locali e nazionali?
In realtà non abbiamo alcun rapporto con le istituzioni pubbliche, se non, come nei due importanti progetti citati, nell’offrire loro l’opportunità di accompagnare con il loro patrocinio il buon esito di quei progetti.
- In quali territori la Fondazione è più presente?
Per ora molto al Sud, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia, Puglia, ma siamo anche presenti in Lazio, e poi nelle Marche, in Lombardia e con alcune presenze in Emilia-Romagna e in Veneto. Come vede, abbiamo ancora molto terreno su cui seminare.
- Com’è il rapporto con le altre Fondazioni e think – tank che operano nel vostro stesso campo? In che modo, se lo fate, collaborate?
Come già detto, la tipicità della nostra attività non ci porta a intrecciare particolari relazioni con le Fondazioni italiane che, nella stragrande maggioranza, sono appunto think tank. Diciamo che il nostro mestiere è un altro e i nostri interlocutori sono le persone, singole o associate, che vogliono impegnarsi a realizzare qualcosa di significativo nel loro territorio. Ciò non significa che non ci siano, e sappiamo che ci sono, anche molte Associazioni che operano in specifici settori sociali o culturali o ambientali, e che vedono in Attua un possibile partner per la realizzazione di loro progetti. Con alcune di questi siamo in contatto e anche stiamo ragionando su qualche idea comune.
- Quali sono le iniziative o le attività che avete in mente per il futuro?
Vogliamo impegnare molto la Fondazione nella diffusione di un messaggio nuovo: tutto ciò che usiamo, consumiamo, facciamo, deve produrre bene comune. Sembra un messaggio d’altri tempi, ma è invece di un’attualità e di un’urgenza disarmanti. Il ruolo di Attua è quello di contribuire a diffondere questa mentalità non più con, pur importanti, convegni o seminari, ma con azioni concrete che ridiano alle persone il piacere di realizzare qualcosa di utile a tutti. È un programma ambizioso, ce ne rendiamo conto, ma prima di nascere ci interrogavamo sulle potenzialità di un soggetto visionario a malapena chiaro nella mente di tre persone; oggi siamo in 350 soci e siamo impegnati in progetti, come l’SPI, che hanno tutti i requisiti per modificare, in meglio, il progresso sociale.
- Qual è la situazione in Italia e nel Sud Italia dal vostro punto di vista? Vedete dei cambiamenti nell’ultimo periodo?
Domanda difficilissima, la cui risposta richiederebbe spazi, temo, che non abbiamo. Diciamo, in due battute, che al Sud sta crescendo la consapevolezza del bisogno impellente di cooperare e di affrancarsi dall’idea che solo la finanza pubblica crei sviluppo, non fosse altro perché oggi le risorse per gli investimenti e la crescita non sono più negli ambiti regionali o locali, ma sono in Europa. Nel Nord, ahinoi, a guardare quello che ci sta insegnando questo terribile virus, forse sta emergendo la consapevolezza che la ricchezza non è un antidoto contro la fragilità umana e che, magari, oltre all’iniziativa privata, è necessario reinventare un servizio pubblico che funzioni.
- In cosa bisogna investire per migliorare?
Questa è invece una domanda semplice: nella responsabilità individuale.