Fai uno squillo quando arrivi: Recensione del Romanzo di Stella Pulpo
“Fai uno squillo quando arrivi”, edito da Rizzoli e nelle librerie a partire dal 15 giugno, è un preludio ad un suono e una attesa, ma racchiude anche in sé il concetto rassicurante che qualcuno si preoccupi per te. Nel caso della nostra Stella, autrice, o Nina, protagonista, è il suono del cuore, l’eco delle emozioni, il sussulto dell’anima che ha avuto inizio da lì, dall’attesa di quel suono, di quello squillo, dall’attesa che lui – anima e corpo dei suoi pensieri quotidiani successivi – arrivasse sotto casa della sua amica e la iniziasse all’amore e alla droga di esso.
Ma chi è Stella? Autrice del blog “Memorie di una Vagina”, Stella Pulpo, trentenne tarantina di adozione milanese, è la risposta tutta italiana a Carrie Bradshaw. Un blog nato come autopsicanalisi per evadere ed esorcizzare il dolore che ruotava intorno alla fine del suo amore tormentato, lunghi post che nel corso degli anni hanno perso quel sapore acerbo dello scrittore per diletto per diventare veri e propri monologhi acuti e sagaci sulla generazione dei trentenni di oggi immersi nella nostra società liquida. E quello che doveva essere una terapia d’urto al “mal di Big” un Big “terrons” – altresì detto “Chin de merd” (PDM – perché tra “pieno di merda” e “pezzo di merda” c’è un involucro di differenza, la finta maschera di perbenismo) si è rivelata la svolta editoriale per Stella.
Milioni di follower per lei – social addicted – amante degli Afterhours a cui non manca di dedicare l’apertura del libro, e a cui sembra ispirarsi in alcune descrizioni piccanti che richiamano una “Lasciami leccare l’adrenalina” in sottofondo, e un successo meritato a pieno.
Stella prova a spiegare l’amore e il malessere, il sentirsi parte di una realtà metropolitana ormai consolidata e una malinconia delle origini, dei profumi e dei vicoli che inevitabilmente ti riportano a casa. Una “terrona del sud” che strizza l’occhio a una Milano che l’ha convertita alle “colazioni alle 12 a base di polpette di quinoa e centrifugati bio”, alle case shabby chic e agli apericena come mood esistenziale, ma che le fa conoscere la “solitudine metropolitana, quella reale e sostanziale, quella per cui se hai un problema sono cazzi tuoi; se hai la febbre ti copri e vai da sola a comprarti le medicine […] è quella solitudine in cui o ti salvi per i fatti tuoi o nessuno si prende la briga di farlo per te; è quella solitudine per cui sei solo anche se ogni sera hai una cena fuori o un aperitivo; la stessa per cui ogni mese qualcuno si ammazza lanciandosi in metropolitana: per esistere, almeno per un paio d’ore, per gridare il proprio malessere a una collettività che l’ha programmaticamente ignorato”.
Tre protagonisti principali quelli di “Fai uno squillo quando arrivi”, Nina – digital pr tarantina trapiantata a Milano per lavoro, PDM-Alessandro, 12 anni di vita insieme a Nina, drug-addicted, tuttologo e grande esperto di musica, Giovanni, startupper salentino impiantato a Milano, nuovo batticuore per Nina. Letta così potrebbe sembrare la classica storia del triangolo “lui-lei-il suo ex”, e invece no.
E’ una storia intrisa di luoghi, di confronti e di musica. Ma andiamo per ordine: Nina scrive da Milano, ha già 30 anni, una carriera avviata e una vita disordinata fatta di amici storici (Bepi, Bianca e Ciccio) e altri recenti (Greta), ma non meno determinanti. Grazie a strani intrecci metropolitani Nina incontra Giovanni in veste di “+ 1” ad una festa e parte un battibecco tutto pugliese, lo ritrova su una app che recensisce per lavoro e scatta il “protocollo sex dating 2.0”, undici appuntamenti prima che si possa definire come una relazione “ma senza etichette” e le ferie, lui in barca, lei nella sua amata Puglia. Due settimane. Quindici giorni, solo quindici, e tutti gli equilibri tornano in bilico. Due scatole, una lettera e una compilation di canzoni, un flusso di ricordi, e un appuntamento col suo destino, prima del suo ritorno a Milano, prima di lasciare a sud un “pezzo di vita”.
Una doppia storia quella di Nina, un amore tossico che trascina il suo eco anche in una storia giusta, che un confine fra giusto e sbagliato nei sentimenti non c’è mai, se non quello che ci creiamo noi per paura di correre dei rischi. Un animo descrittivo con vera dovizia di particolari, una qualità notevole che ti conduce all’interno della storia e ti lascia consumare le sue pagine, divorare ogni singola riga e riesce a farti capire che quella storia lì la conosci, ti ci riconosci, quando si tratta del coito consumato sul divano pre-cena, o quando ti specchi nei vetri della metro gialla al ritorno da lavoro e scruti fra il trucco sbavato e le occhiaie le fatiche della tua giornata. La riconosci nel protocollo del “sex dating 2.0”, vero fiore all’occhiello di tutta l’opera, in queste parole: “Lui dopo un breve e mediocre corteggiamento, seguendo tutti gli step classici del rimorchio contemporaneo (richiesta di amicizia su Facebook, qualche like in pubblico, contatto diretto su Messenger, estorsione di appuntamento senza troppo impegno, scambio di numero di telefono a favore di incontro e comunicazioni dell’ultimo secondo) esce con lei. Un aperitivo e poi si rivedono classicamente nel week end. Sono andati a letto insieme. Lui ora non risponde più ai suoi messaggi. E’ un whatsapp in cui lei gli chiede semplicemente come stia. Non se voglia diventare il suo fidanzato, il padre dei suoi figli o l’integerrimo marito. Un semplicissimo “come stai?”. Visualizza e non risponde. Zero. Nemmeno per educazione, voglio dire. Queste cose succedono, sono ormai una parabola del mondo 2.0”, chi di noi non ha mai – una volta nella vita – sofferto della “sindrome delle doppie spunte blu”?
Un romanzo chiaro, fluido, apparentemente leggero ma profondamente introspettivo. A tratti sociologico. Lo specchio di una generazione troppo cosmopolita, la nostra, sempre troppo impegnata nello sport del secolo della “cura e mantenimento dell’ego”, che troppo spesso dimentica i valori veri, quelli originali e – soprattutto – primordiali. Fossero anche solo quelli di “una vagina”.