Daniela Montella presenta il libro “Il Corpo dei Ricordi”: l’Intervista
Newsly.it intervista in esclusiva l’attrice e scrittrice Daniela Montella. Sin dall’infanzia la Montella si appassiona al mondo della letteratura e successivamente anche al mondo del teatro. Ha pubblicato a maggio 2017 il suo romanzo d’esordio “Il corpo dei ricordi”, edito da Milena edizioni.
Daniela Montella, da sempre ti occupi di arti performative, di narrativa, di poesia, posso dire che l’arte ha sempre fatto parte di te? “Ne sono sempre stata attirata, questo sì. Per me sono naturali, come per altri può esserlo la musica o lo sport. Più che altro ho difficoltà con chi si definisce “artista” o parla del suo modo di “fare arte” come se questo bastasse a sentirsi diversi, unici, o elevati. C’è molto snobismo tra quelli che fanno parte della sfera artistica, e preferirei non farne parte”.
Il mondo letterario e il mondo teatrale, uno la continuazione dell’altro, dove meglio riesci ad esprimerti, dove ti senti più a casa? “Per me non ci sono differenze, non ho una preferenza. Anzi, spesso mischio tutto, cosa che non sempre è positiva. L’organizzazione non è il mio forte. Quando parlo di quello che faccio spesso mi dicono che sono una scombinata, che faccio troppe cose, ma è il mio modo di vivere. Accumulo e mi faccio trasportare dalle idee. Certo, non riesco sempre a fare tutto quello che vorrei!”
La tua è una passione vera, che ruolo occupa attualmente l’arte nella tua vita? “Come ti ho accennato prima, non mi piace parlare di me come un’artista, né di arte. È un concetto troppo abusato. Io sono quello che sono, non posso definirmi in nessun modo. La scrittura e il teatro occupano attualmente tutta la mia vita, non perché voglia, ma perché davvero non riuscirei a fare niente di diverso”.
Il tuo esordio letterario è “Il corpo dei ricordi”, pubblicato a maggio scorso. Un romanzo davvero originale che tratta un tema importante, tanti argomenti complessi che investono l’essenza dell’uomo. In un futuro paradiso terrestre c’è un mondo ormai devastato dalle guerre, che ha perso ogni connotazione di civiltà e di compassione. La morte è diventata illegale e viene tenuta nascosta, lo stesso dicasi per il dolore e la sofferenza, ogni difetto fisico viene eliminato col bisturi. Quelli che muoiono giovani ritornano in nuovi corpi giovani e senza difetti, ma con i ricordi della vita precedente. Il culto dell’eternità e della perfezione, la negazione della vecchiaia e della morte sono i grandi temi che affliggono l’uomo moderno. Come ti sei approcciata a temi così importanti e perché hai deciso di trattarli nel tuo romanzo? “La storia dietro al romanzo in realtà è molto triste, e non è molto facile parlarne. Qualche anno fa a un mio carissimo amico è stato diagnosticato un male incurabile, e ricordo di aver pensato ‘Che bello sarebbe se potessimo prendere i suoi ricordi e metterlo in un corpo nuovo, sano, così che possa continuare a stare con noi’. Così mi è venuta in mente l’idea per il romanzo, ma ho cominciato a svilupparlo dopo che è venuto a mancare. Ci ho messo qualche anno a convincermi a finirlo. Questa storia ha costituito la base, il resto era pura necessità personale. L’esigenza di perfezione, l’anestesia forzata, la paura del dolore sono tutte cose che vedo nella vita reale, tutti i giorni. Siamo circondati da telecamere pronte a riprenderci che non ammettono errori. I social esigono da noi un’immagine di attività, felicità e produzione che non siamo in grado di seguire, così mentiamo; e mentendo in continuazione finiamo col credere anche alle nostre bugie. Crediamo di stare sempre bene, che vivere qualcosa di brutto sia necessariamente un male, che piangere sia una cosa completamente negativa. E in mancanza di un equilibrio si rischia come minimo di diventare psicopatici. Infatti, più vado avanti, più vedo persone completamente esaurite. Nello Stato del romanzo magari tutto questo è amplificato, portato all’estremo, ma la fonte d’ispirazione è reale”.
Yolande, la protagonista, fatica ad integrarsi in questo mondo perfetto, lei che è stata cresciuta da seguaci del culto della morte. Yolande rappresenta l’essere imperfetto che vede la fine del percorso umano nella morte e che si ribella a questo nuovo mondo disumano. “Il corpo dei ricordi” mi ha fatto venire in mente meravigliosi esempi di letteratura come “Io, robot” di Isaac Asimov, “1984” e “la fattoria degli animali” entrambi di George Orwell. Posso definire il tuo romanzo di fantascienza/fantasy? “Intanto grazie del complimento perché 1984 è uno dei miei romanzi preferiti in assoluto! Circa il genere, fra i due la fantascienza è il più vicino. Non lo definirei assolutamente un fantasy. Sul genere in sé c’è stato un po’ di dibattito perché, pur avendo degli elementi fantascientifici, molti di quelli che lo hanno letto non lo definirebbero affatto un libro di fantascienza. Se la distopia fosse un genere, sarebbe quello. Ma c’è anche chi lo ha definito psicologico, vista l’introspezione su Yolande. Su di lei c’è da dire che, pur opponendosi strenuamente a un mondo “disumano”, e quindi in teoria più vicina a noi, è ben lontana dall’essere un personaggio positivo. Ma questo succede anche nella vita vera: non per forza quelli con cui siamo d’accordo devono essere simpatici o brillanti”.
Qual è il messaggio che hai voluto esprimere? “Le persone hanno molta paura del dolore. Che sia fisico o mentale poco importa; hanno talmente tanta paura di soffrire da preferire l’immobilità, la stasi invece della crescita, l’anestesia al sentire. Ci si imbottisce di droghe, medicinali, post “acchiappa-like” sui social network, amori finti, amicizie finte, finte esperienze e foto finto casuali per esprimere un’autenticità che non esiste, pur di sedare quello che abbiamo dentro e continuare a pensare che sia tutto perfetto; ma non c’è niente di male nello stare male, nel dire “no, non sto bene, mi serve aiuto”. Ricordo il giorno in cui morì quel mio amico: piangevo nel treno senza ritegno, fazzoletto alla mano, e le persone evitavano di guardare nella mia direzione. Il sedile di fronte al mio era libero e, nonostante ci fossero alcune persone in piedi, nessuno venne a sedersi. Neanche avessi avuto la lebbra”.
È come se tu avessi voluto dire che l’essere umano con tutti i suoi ricordi e difetti sopravviverà ad un mondo disumano? “Più che altro lo spero, ma non posso saperlo. Ultimamente mi sento come se fossimo circondati da corpi senza anima né ritegno, e forse l’unica cosa che possiamo fare è combattere per “fare anima”, educare al bello, fare il possibile per non farsi trascinare verso il basso”.
È vero che alle presentazioni del libro talune volte hai accompagnato performance teatrali? “Sì, è una cosa che ho sempre voluto fare. Alla presentazione di giugno al Pan di Napoli c’è stata la performance di due bravissime artiste, Laura Pagliara e Viviana Ulisse. Abbiamo avuto anche il servizio di traduzione in lingua dei segni Visibilis a tradurre la presentazione per i lettori sordi. La mia idea sarebbe quella di avere sempre una piccola performance ad accompagnare la presentazione, magari sempre diversa, ma dipende dal luogo, dalla disponibilità dello spazio, dal tempo, e ovviamente dai performer… vedremo”.