Bufale online, Fact Check e Fake News non bastano
Bufale online: fact check e fake news potrebbero non essere sufficienti. Il mercato è ancora in crescita
Ogni anno il mercato delle bufale online produce milioni di euro con pratiche che, a prima vista, sembrerebbero del tutto indolori. Notizie, evidentemente false, che in pochi secondi, tra migliaia di like e reazioni, diventano virali finanziando il grande business della pubblicità online. Bufale che alimentano altre bufale, anche tramite i social (e la pratica del click baiting).
Ci cascano tutti. Sia chiaro che nessuno è totalmente libero. Nessuno ha la coscienza davvero pulita. Anche le grandi testate, quelle di proprietà dei grandi gruppi editoriali italiani, prima o poi ci cascano. Il piatto insomma fa gola a tutti. La semplice modifica di un title su Facebook, associata ad un’immagine acchiappalike studiata a puntino, può generare nel giro di qualche secondo, guadagni da capogiro.
La dinamica è semplice. Una bufala quasi sempre viene studiata a “tavolino”: viene studiato il titolo, l’immagine e pure il contenuto. Il tutto viene magari veicolato su Facebook, tramite le pagine ad alto tasso di engagement, magari con un titolo e un’immagine da clickbaiting. Il gioco è presto fatto: qualche migliaio di condivisioni, visite e visualizzazioni, la raccolta pubblicitaria si impenna.
Il fenomeno, arcinoto, è però venuto fuori prepotentemente soltanto dopo che qualche volto noto della politica è sceso direttamente in campo. In Italia è stata la Boldrini, in America Trump. Tutti sembrano essersi accorti delle fake news soltanto ora. Anche i colossi della comunicazione digitale, Facebook in primis, sono intervenuti per provare ad arginare un fenomeno comunque dilagante, e difficile da controllare.
Bufale online, la guerra alle fake news del mondo digital
In principio Facebook. A ruota tutti gli altri. Infine Google (che da solo veicola gran parte del traffico da motore di ricerca del pianeta). Le contromisure contro le bufale (e la loro diffusione virale) finiscono poi per colpire, indifferentemente, tanti editori. Il sistema però non è senza controindicazioni. Nel tritacarne digital ci finisco spesso anche editori che di fatto non fanno parte del business delle bufale online. Di contro, merito dell’autorevolezza guadagnata in anni di attività, molti siti d’informazione (anche di grande storia e di grande caratura) hanno finito per guadagnare ulteriore vantaggio competitivo pur sfruttando molte delle pratiche scorrette che in realtà andrebbero in ogni caso combattute.
La politica prima e gli operatore di settore poi hanno investito tempo e risorse. Il web, anche solo rispetto a qualche anno fa, è diventato certamente più scaltro; individuare una bufala, insomma, non è più così complicato. Eppure il dramma è evidente. La linea tra notizia e contenuto privo di qualsiasi utilità è flebile; quella tra notizia vera, notizia falsa è però ancor più sottile e finisce per naufragare nel paradosso della notizia verosimile.
Fake news, la linea sottile tra notizia e bufala
Il grosso del mercato ruoto intorno alle notizie verosimili o (ciò che è peggio) intorno a quelle notizie che, pur essendo vere, finiscono per scadere del tutto se veicolate artificiosamente per produrre, in sequenza, like, reactions, click, visualizzazioni e guadagni. Troppo spesso, infatti, una notizia “vera” viene veicolata sui social ricorrendo, per esempio, a tecniche di clickbaiting tanto spinte da rendere il tutto surreale.
La soluzione, oltre ovviamente all’introduzione di features da parte delle principali società del settore (e il fact check introdotto da Google ne è un esempio) probabilmente passa per ben altre alternative. Se si riconosce (come pare doveroso) il giusto valore al ruolo dell’utente finale, del lettore che in ultima istanza è il reale fruitore della notizia, non può non riconoscersi come la fine definitiva del mercato delle fake news passi da una crescita culturale (e al limite sociale) del fruitore di servizi web.
È l’utente, il lettore, a dover essere in grado di riconoscere una bufala, una notizia falsa o un contenuto inutile. Per farlo ha però necessità di strumenti cognitivi che gli consentano di discernere nel mare dei contenuti che ogni giorno vengono pubblicati online.
Se da un lato è infatti vero che il fenomeno potrebbe arginarsi anche intervenendo a monte, e quindi nella fase di produzione dei contenuti, altrettanto vero è che, fermo restando il limite del falso (che è di per sé già reato in gran parte degli ordinamenti giuridici), la produzione si interrompe anche quando la domanda di certi contenuti sarà talmente bassa da rendere, in breve tempo, saturo il mercato.
Fake news e bufale online: quale futuro per i contenuti digital?
Sembra in effetti che la contrazione del mercato sia evidente. Il solco tra informazione e portali di informazione finisce inevitabilmente di diventare, giorno dopo giorno, sempre più profondo. Gli utenti maturano una rinnovata consapevolezza; i motori di ricerca intervengono in maniera decisa (e gli ultimi upload di Google lo testimoniano). In quel solco, esattamente nel mezzo tra i grandi portali dell’informazione e i siti nati e strutturati per produrre bufale, troppo spesso ci finisce sia chi produce comunque contenuti di qualità sia chi invece, pur producendo bufale o veicolando contenuti di bassissimo livello tramite i social, trae vantaggio da una rendita di posizione legata a brand e storia.
È in questa zona grigia che probabilmente si interverrà. La certezza del cambiamento, però, arriverà solo quando i motori di ricerca riusciranno ad annullare gli effetti delle rendite di posizione di chi ormai online si riduce a livelli da marchettari, magari pur producendo contenuti di qualità per la carta stampata. Il futuro è però forse nella crescita culturale degli utilizzatori, di quegli utenti che dovranno essere in grado in totale autonomia di discernere, con assoluta semplicità, tra fake news, bufale online e notizie vere.