Banksy Nuovo Graffito sulla Brexit: l’opera apparsa a Dover
Nella notte fra il 6 e il 7 maggio è apparso a Dover, su un muro di un palazzo del terminal dei traghetti, sulla parte sud-orientale dell’Isola uno degli ormai emblematici graffiti di Banksy che rappresentano la cifra stilistica del “pirata dell’Arte”- come spesso è stato definito per le tematiche affrontate attraverso i suoi lavori.
Questa volta lo stencil utilizzato dall’artista raffigura un operaio intento a “distruggere” una delle dodici stelle del vessillo dell’Unione Europea, chiarissimo riferimento alla vicenda Brexit che di fatto separa storicamente l’Inghilterra dal resto d’Europa. E se si pensa che, in quegli stessi giorni l’Europa affrontava un altro evento storico cruciale di politica (lo ricordiamo: il Regno Unito che esce dall’Unione Europea da un lato, l’elezione di un nuovo Presidente in Francia, dall’altra) l’opera arriva ad assumere una valenza ancor più profonda ma lampante.
Si tenga bene a mente che Dover sia infatti da sempre un porto di funzione vitale per l’attracco dei traghetti che partono da Calais, dove per altro spesso Banksy ha realizzato altri lavori. Inoltre, non meno importante, poco tempo fa, precisamente il 24 marzo, un quotidiano inglese, il Sun, lanciò una campagna a favore della Brexit proprio proiettando il messaggio “Dover & Out” sulle sue scogliere nella giornata in cui la premier britannica Theresa May innescò l’inizio dell’uscita dall’Ue. A confermare l’ipotesi iniziale ci ha pensato sia l’Ufficio stampa dell’artista che Bansky stesso, pubblicando la foto alla propria opera sul suo profilo Instagram.
Chi è Banksy e perché le sue opere hanno così grande risonanza nel mondo?
Bansky, di cui non si conosce la reale identità o quasi (vi spiegheremo in seguito quali ipotesi vi siano sul suo personaggio), è uno fra i massimi esponenti di quella che è definita Guerrilla-Art, che eviscera a pieno il suo operato a parer nostro, detta anche Post-Graffiti, ossia una tipologia artistica che prevede, attraverso l’utilizzo diretto di immagini essenziali, estremamente grafiche e d’impatto immediato la creazione di una sorta di “manifesto critico” nei confronti della politica, la cultura in generis e l’etica. Banksy s’invola sui problemi dell’inquinamento, le attività belliche nel mondo o lo sfruttamento minorile e altro ancora tramutando in opere piacevoli e immediate tematiche spesso atroci e delicate, poiché in grado a tutti gli effetti di manipolare positivamente e comprensibilmente per tutti, anche i meno avvezzi all’arte moderna e soprattutto per i bambini, quelli che sono i codici comunicativi della cultura di massa.
Riportiamo fedelmente in merito un aneddoto dello scrittore Paul Goghi che compare, per chi fosse interessato all’argomento, in un libro di Karin Cruciata, “L’arte di Banksy: una critica al sistema contemporaneo” del 2014: “L’opera di Banksy in fondo a Park Street affascina molto mio figlio di cinque anni e ci passiamo davanti quando andiamo a scuola e al ritorno. Ha tante domande, soprattutto che iniziano con la parola ‘perché…?’ […] La mia opinione è che l’arte di strada ha la capacità di suscitare una reazione in tutti noi, indipendentemente dall’età”. Fra le opere più emblematiche e forse più conosciute dell’artista ricordiamo la meravigliosa “Sweeper” o “No Ball Games” ma soprattutto per la prima, del 2006-2007, il riferimento plateale del graffito ad una cameriera che spazza rapidamente sotto il tappeto la “sporcizia” alludeva all’allora riluttanza del governo inglese ad occuparsi di questioni delicate come l’Aids in Africa.
Ma Banksy è stato attivissimo anche in scenari di guerra estrema come Gaza e i suoi manifesti di denuncia sono assolutamente il plus che solo l’arte può offrire, a nostro parere in questi tempi davvero difficili, poiché siamo certi, oltre ragionevole dubbio, che la vera funzione dell’arte nel 2017 debba essere soprattutto di forte richiamo al Risveglio dell’Opinione Pubblica, debba suscitare un’emozione che non guardi più, come nel passato, al Sublime, alla ricerca del bello e della perfezione quasi sovraumana (come i capolavori figurativi del Rinascimento et similia) ma che sondi profondamente ciò che di questi tempi sia parte dell’animo Umano, non solo i lati di Luce ma in particolare quelli d’Ombra, l’altra faccia della medaglia.
Come se quanto finora descritto non fosse sufficiente a suffragare l’idea di Banksy come artista controcorrente vi è da aggiungere che egli stesso sia davvero insofferente a quello che è da tempo ormai il sistema di diffusione artistica principale nel mondo, ovvero i Musei e, contrario alla mercificazione dell’arte per scopi puramente commerciali e spesso di lucro ne è orgoglioso detrattore tant’è che, spesso con incursioni anonime e clandestine si reca ad affiggere nelle Gallerie d’Arte più note delle opere da lui realizzate che nulla hanno in comune con le sue tecniche artistiche, e che anzi, proposte in perfetto e lezioso stile, riportano dettagli assolutamente dissacranti, ironici e anacronistici.
L’esempio più divertente e lampante, secondo noi? Fra i tanti scegliamo “Show me the Monet”, dove all’interno di uno fra i meravigliosi paesaggi naturalistici del pittore francese vi troneggia la presenza quasi molesta di carrelli della spesa e un cono stradale in primo piano che, converrete con noi par quasi attualità ben visibile nelle nostre città, ovvero la deturpazione della natura ad opera dell’uomo.
Ma, tornando a noi, si è mai scoperta la vera identità di Banksy, che ha consapevolmente scelto di restare anonimo? Le ipotesi sono tante e disparate, alcune più o meno sicure secondo chi le mette in campo… quella più “scientificamente” attendibile pare sia quella che faccia corrispondere la figura dell’artista ad un certo Robert Gunningham, derivante da un’inchiesta condotta dal Mail On Sunday nel 2008 per tentare di smascherare l’artista, ipotesi confermata poi anche dalla Queen Mary University di Londra che si è avvalsa di una tecnologia di localizzazione geografia avanzata, utilizzata per la lotta al crimine, per cercare di porre in relazione i luoghi di comparsa maggiore delle opere di Banksy in relazione a Gunnigham, un uomo di 43 anni educato da genitori della classe media britannica in un istituto privato proprio di Bristol. L’identità, che collima inoltre fra i racconti d’infanzia dell’artista e quelli dell’individuo in questione, ritrova punti d’incontro anche per quanto riguarda il trasferirsi da Bristol a Londra in periodi coincidenti.
Un altro articolo ancora, questa volta del Daily Mail del 1 settembre 2016 sembra far coincidere l’identità dell’artista con quella di Robert Del Naja, membro musicale del gruppo dei Massive Attack ma ovviamente nulla fra le innumerevoli ipotesi è stata confermata dall’artista stesso, contribuendo ad alimentare il “Mito”. A noi, personalmente non importa poi molto, amando particolarmente l’intento dietro le sue opere e dietro questa scelta soprattutto di restare anonimo, fatta con l’umiltà e la consapevolezza che debba esser la propria arte e il messaggio da veicolare a dover ricevere attenzioni, più che l’uomo che dietro le stesse si celi.
Certo è che il nostro mondo, allo stato attuale è grazie a lui, nel 2017 un po’ più “colorato”, riflessivo e ludico da quando è in scena la sua arte. Perché in fondo questo è il mondo, per Banksy: un grande palcoscenico dove recarsi alla Prima “teatrale” per sbirciare sul lato più nascosto e meno pulito di questa esistenza, fatta di scelte politiche discutibili, disagi umani e guerre.