Alzheimer prevenzione con l’Intelligenza Artificiale
Grazie all’Intelligenza Artificiale alcuni ricercatori dell’Università di Bari sono riusciti a trovare una soluzione alla possibilità di poter prevedere l’Alzheimer con molti anni di anticipo. Le statiche italiane hanno registrato che il 4% di coloro che hanno superato i 65 anni sono afflitti da questa malattia. L’intera penisola registra circa 600.000 persone colpite dall’Alzheimer. Gli studiosi e i ricercatori sperano di poter trovare, grazie alle nuove tecnologie offerte dall’IA, una cura che sia il più efficiente possibile. Come si può vedere da questi, ma anche da molti altri risultati, l’Intelligenza Artificiale è diventata indispensabile e utile non solo nel campo della tecnologia, ma anche in quello della medicina.
Cos’è l’Alzheimer?
L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che colpisce nella maggior parte dei casi le persone oltre i 60 anni. Causa la perdita di memoria e delle funzioni cognitive e conduce lentamente alla demenza. Ciò porta il soggetto a isolarsi dalla famiglia e dalla società. La velocità di progressione della malattia può variare, ma l’aspettativa media oscilla tra i 3 e i 9 anni. Le cause di questa malattia sono ancora oscure e le terapie utilizzate offrono miglioramenti solo per quel che riguarda il rallentamento della patologia.
Test di ricerca: processo e risultati
Il gruppo di ricerca è formato da Nicola Amoroso, Marianna La Rocca, Stefania Bruno, Tommaso Maggipinto, Alfonso Monaco, Roberto Bellotti e Sabina Tangaro. Hanno stabilito un algoritmo che riesce a rilevare in anticipo i sintomi della malattia. Tale algoritmo è stato poi utilizzato per analizzare 67 risonanze magnetiche utilizzando un’IA. Le risonanze studiate appartenevano sia a pazienti malati che a pazienti sani e si è arrivati alla conclusione che l’IA sia in grado di prevedere l’Alzheimer nell’86% dei casi. I test di ricerca sono avvenuti sulla base di un numero minimo di casi e proprio questo mostra come siano riusciti nel loro intento. La ricerca ha trovato l’interesse del professore di neuroscienze Patrick Hof della Icaha School of Medicine della Mount Sinai di New York che ha espresso il suo parere a riguardo, dicendo che questo metodo potrebbe permettere di giungere a nuove prospettive terapeutiche.