Accadde Oggi 16 marzo: Rapimento di Aldo Moro
Accadde Oggi dedica la sezione odierna, a un fatto grave di cronaca avvenuto 39 anni fa: il rapimento di Aldo Moro.
Periodo di terrore per l’Italia: il 1978
Nella seconda metà degli anni ’70 l’Italia era sconvolta da un periodo di terrore: nel 1978, nel giro di poco tempo i numeri di omicidi, rapine e rapimenti , aumentarono spaventosamente: stiamo parlando di migliaia in totale. Tra i protagonisti di questo panorama c’era la disoccupazione, ma anche l’eccessivo benessere che si tramutava in noia: la delinquenza si muoveva attorno alle classi inferiori ma anche a quelle più elevate. É proprio da quest’ultime che nascono le bande più “famose”: i Turatello, i Draga, i Vallanzasca, gli Argento e i Pesce, ma ciò che accade a partire dal gennaio del 1978, sembrava essere ben diverso dalle criminalità organizzate alle quali gli italiani erano abituati: ad aprire la strada, furono due killer che in Via Paisiello, uccisero un uomo e una donna – quest’ultima era Lia Zenari, ex compagna di Turatello, comunemente conosciuto come “faccia d’angelo”.
Una serie di strani omicidi, costrinse le persone, ragazze in particolare, a rimanere in casa al calar del sole. I giornali e la polizia attribuivano i delitti a due organizzazioni, sempre se di due si poteva parlare. Presi di mira anche negozianti e ristoratori, che vedevano andare in fumo le proprie attività perché rifiutavano la “protezione” della mafia, che dalla Sicilia pian piano si espandeva nel resto della penisola. I primi mesi dell’anno in questione, contarono ben 1848 atti di violenza con 318 feriti e 23 morti: tra questi, il caso che fece scalpore, il Caso Moro.
Il rapimento di Aldo Moro
Il 16 marzo, l’esponente del partito DC (Democrazia Cristiana), esce dalla sua casa in via del Forte Trionfale, per recarsi alla Camera dove era in atto la votazione per la fiducia al nuovo Governo. Alla guida dell’auto c’era l’appuntato Domenico Ricci, accanto a lui il maresciallo Oreste Leonardi, seguiti da tre poliziotti di scorta: Rivera, Jozzino e Zizzi. Alle ore 9.15 in Via Fani, una 128 bianca si fa tamponare dalla 130 allo stop, uscirono subito due terroristi che uccisero sul colpo l’appuntato e il maresciallo; seguì l’uccisione della scorta da parte di altri due terroristi sbucati da una siepe. Moro venne narcotizzato e caricato su una 128 blu e spostato successivamente su di un furgoncino che lo portò fino al rifugio dei rapitori. L’Italia rispose all’evento inizialmente con manifestazioni e gruppi copiosi di persone sulle strade, ma sempre le stesse in breve tempo divennero vuote e la rabbia si trasformò in paura e silenzio. Le Brigate Rosse, per un mese e mezzo inviarono comunicati, lettere di “terrore” e foto: la prima ritraeva Aldo Moro a mezzo busto con la camicia aperta sul collo e sullo sfondo la stella a cinque punte inserita in un cerchio, mentre nel comunicato si leggeva:
“Giovedì 16 marzo un nucleo armato delle Brigate Rosse ha catturato e rinchiuso nel carcere del popolo Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana. La sua scorta armata composta da cinque agenti dei famigerati corpi speciali è stata annientata.”
Seguiranno altri cinque comunicati e nel sesto, del 15 aprile, le Brigate annunciano che il “processo” è terminato e Moro viene dichiarato colpevole, pertanto condannato a morte. Nel comunicato n.7, si dichiara la morte del rapito mediante “suicidio”, seguita dalle indicazioni del luogo dove poter trovare la salma: il lago della Duchessa del reatino. Partono immediatamente le ricerche, ma invano; nel frattempo dei pompieri, scoprono per caso una base delle Brigate Rosse in via Gradoli sulla Cassia. Il 20 aprile, arriva l’ultimatum dei brigatisti al Governo esortando allo scambio dei prigionieri, altrimenti Moro sarebbe stato ucciso. Notizia che smentisce il precedente comunicato. Il 24 aprile, attraverso un nuovo comunicato, le Brigate richiedono il rilascio dei tredici terroristi detenuti, ma in mancanza di approvazione, ribadiscono l’esito della sentenza nell’ultimo comunicato.
Il 9 maggio, a seguito di una telefonata anonima, in Via Caetani nel bagagliaio di una Renault, avvolto in un plaid si trova il corpo di Aldo Moro: la decima vittima delle Brigate Rosse.
Le ultime parole di Aldo Moro
Nel periodo del suo sequestro, l’unica cosa che Moro aveva la possibilità di fare era scrivere: tra le più commoventi, ci sono le lettere alla moglie. Nel periodo di terrore, in quelli che passarono alla storia come gli “anni di piombo”, nessuno ebbe la possibilità di salutare i propri cari per l’ultima volta, ma di questa possibilità, sono pochi coloro che possono goderne. Molti sapevano che prima o poi potevano saltare in aria o essere rapiti, uccisi, minacciati e costretti a privarsi della propria libertà o democrazia? I giornali in quegli anni scrivevano così: “La giustizia ha conosciuto la sconfitta più grave da quando il paese gode della democrazia”. Sorge spontaneo chiedersi, se poi di democrazia possiamo dunque parlare. Di fronte alla morte siamo tutti uguali e se ad essere rapito era un politico, un padre, un figlio o un fratello poco importava, era la speranza seguita dalla impossibilità di rivedere i propri cari che andava al primo posto e Aldo Moro scrisse così:
“Mia dolcissima Noretta, Per me, è finita. Penso solo a voi e, se non sono oppresso fino alla follia, vi richiamo, vi rivedo, da grandi e da piccoli, da anziani e da giovani e tra tutti il dilettissimo Luca con cui passo ancora i momenti disponibili… Ricordatemi un po’, per favore. Io sono cupo e un po’ intontito. Credo non sarà facile imparare a guardare e a parlare con Dio e con i propri cari… Mentre lasciamo tutto resta l’amore, l’amore grande grande per te e per i nostri frutti di tanta incredibile e impossibile felicità. Che di tutto resti qualcosa. Ti abbraccio forte, Noretta mia. Morirei felice, se avessi il segno di una vostra presenza. Sono certo che esiste, ma come sarebbe bello vederla. Aldo”