11 settembre 1973: la morte di Allende prelude alla globalizzazione
Era l’ 11 settembre 1973 ed il mondo tremava ancora. Il turbamento dello status quo quel giorno fu la morte di Salvador Allende, presidente cileno eletto e comunista. In un mondo che si preparava ad accogliere le logiche della Globalizzazione, un evento di tale portata non poteva che gettare nel panico tutto il blocco sovietico. Anche l’Italia, nominalmente nel blocco americano, cadde nel terrore.
Il golpe in Cile messaggio per l’Italia
Il golpe cileno fu un avvertimento, un deterrente fortissimo per la sinistra italiana ancora sovietica. Dal Cile arrivava il messaggio inconfutabile che le armi e la forza non erano incompatibili con il periodo della rinascita democratica mondiale. Qualsiasi risultato elettorale non gradito sarebbe stato smentito dalla forza. D’altronde gli interessi degli Stati Uniti in America Latina erano palesi. Importanti multinazionali, di base nel continente, avevano come fonte di rendita le risorse naturali dei paesi latini. Interesse principale dell’amministrazione di Washington era quindi finanziare e far insediare governi amici che entrassero in meccanismi di cooperazione internazionale. D’altra parte, come in un’immensa partita di Risiko, lasciare quelle nazioni a governi filo-comunisti creava grossi problemi di sicurezza militare. L’errore cubano non si doveva ripetere, gli Stati Uniti non dovevano essere attaccabili da sud. C’era poi la questione delle nazionalizzazioni. La guerra fredda, oltre ad essere militare, fu anche economica. Nazionalizzare le materie prime sudamericane rendeva le varie economie nazionali indipendenti e non ricattabili. Alla luce di queste premesse si possono capire i fatti drammatici di quella giornata.
11 settembre 1973: cronologia del Golpe Cileno
Il golpe, se così si può dire, iniziò molti mesi prima. Un’ondata di scioperi colpì tutti i settori lavorativi. Il Cile era sempre più isolato dalle dinamiche economiche continentali e la “via cilena al socialismo” procedeva molto a rilento. Con il pretesto dell’ordine iniziarono i raggruppamenti di reparti militari guidati dal numero 2 del governo Augusto Pinochet. L’estate del 1973 passò in violenze e tentativi vani di rovesciare il governo, fin quando in settembre si presentò l’occasione perfetta. Il governo, in stato di emergenza, fu accusato di agire in maniera illegittima ed antidemocratica e le manifestazioni organizzate dall’opposizione si fecero sempre più insistenti. Nel momento di incertezza massima intervennero le forze militari in assetto da guerra. Aerei da guerra e mezzi blindati volarono sulla capitale e sul Palazzo presidenziale. Il presidente Allende negli ultimi momenti di vita capì la congiura del suo fidato e la sua ultima azione fu quella di parlare alla radio. “Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! – qui l’estratto dell’ultimo discorso di Allende – Queste sono le mie ultime parole e ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano, ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento”. Con ogni probabilità il presidente si suicidò dopo aver pronunciato queste parole prima dell’arrivo dei golpisti.
Dopo le violenze, il regime militare
Il governo di Pinochet durò fino al 1998, l’ultima porzione del XX secolo cileno è chiamata dagli storici “Regime Militare” in virtù delle violenze che caratterizzarono il periodo. Violenze che, poi, furono giudiziariamente riconosciute come crimini di guerra. Ma ormai era troppo tardi, Pinochet morì nel 2006 e non fu mai condannato. Quel giorno del 1973 racchiude un immenso pezzo di storia ed è la chiave di lettura per comprendere ciò che venne dopo. Quell’ 11 settembre fece avvicinare inesorabilmente i tempi contemporanei. La Guerra Fredda era quasi finita, iniziava l’era della globalizzazione. Nessuno l’avrebbe mai ammesso, però.